Il bosco di abete rosso di alta quota (la pecceta sub-alpina) incornicia il paesaggio di molte montagne alpine. Nell'immagine, la pecceta alla base del Gruppo del Sella, in alta Val di Fassa, provincia di Trento (foto di Marco Borghetti). Scorrere per la fotostoria.

La foresta di Paneveggio, in provincia di Trento, con il gruppo dolomitico della Pale di San Martino sullo sfondo. E' una delle più rinomate peccete sub-alpine, spesso reclamizzata come la foresta dei violini: dagli alberi di Paneveggio si ricava infatti il legno di risonanza, impiegato, fin dai tempi di Stradivari, per la costruzione della cassa armonica dei violini e di altri strumenti musicali (foto di Marco Borghetti).

Val Venegia, provincia di Trento, sullo sfondo il gruppo delle Pale di San Martino. Verso il limite superiore della foresta, il bosco naturale è quello misto di abete rosso e larice, come si nota bene nell'immagine: siamo a tarda primavera e il verde chiaro del larice, che ha da poco emesso i nuovi aghi, si distingue bene da quello più scuro dell'abete rosso (foto di Anna Rita Rivelli).

Selvicoltura nei boschi di abete rosso: fra dinamiche naturali, forzature colturali e correzioni di rotta

L’abete rosso (Picea abies Karst.) è una delle specie forestali più importanti, in Europa come nel nostro paese. E' la conifera che, con i suoi boschi, più di altre contribuisce al paesaggio delle vallate alpine, rappresentando la principale fonte di legname nei distretti dove si fa selvicoltura.

La diffusione geografica dell'abete rosso riflette sia la sua storia naturale nel post-glaciale, sia l'azione dell'uomo: per le sue capacità di accrescimento e il pregio del legname da molto tempo l'abete rosso è stato infatti individuato come una delle specie predilette da mettere in coltura e da favorire nel quadro della gestione forestale.

Alle quote più alte delle vallate alpine il bosco di abete rosso (la pecceta sub-alpina) si presenta come un ecosistema forestale che conserva quasi sempre buone caratteristiche di naturalità, anche quando sia assoggettato a una gestione con finalità di produzione legnosa. Difatti, la selvicoltura applicata a questi boschi non ha in genere forzato la struttura e la dinamica del bosco verso caratteristiche di artificialità, confidando sulla rinnovazione naturale per il suo mantenimento [1]. Altri fenomeni, come la grande proliferazione, in parte legata a scelte (o inerzie) gestionali, delle popolazioni degli ungulati (cervi, caprioli, camosci), possono invece rappresentare un ostacolo per la rinnovazione naturale e un fattore di alterazione delle dinamiche di questi ecosistemi [2].

Queste immagini mettono in evidenza alcune caratteristiche della pecceta subalpina. E' un bosco che si presenta a copertura discontinua, progressivamente più lacunoso man mano che ci si innalza di quota, con la pecceta che gradualmente si apre alla presenza del larice e del pino cembro. La rinnovazione naturale avviene su tempi lunghi, a causa delle aspre condizioni climatiche, che ostacolano una regolare produzione di seme, e per la scarsità di substrati idonei alla germinazione del seme e allo sviluppo delle plantule. Sapendo aspettare e applicando interventi selvicolturali opportuni, che facilitino l'apporto di radiazione solare e di calore al suolo, e rilasciando il legno morto adeguato a formare il necessario letto di germinazione per il seme [1, 3], il bosco comunque si rinnova in tempi utili per la gestione forestale anche a fini produttivi. Nell'immagine in alto si nota un nucleo di rinnovazione all'interno di una chiaria. Spesso le piantine rimangono a lungo (anche per decenni) confinate nel piano inferiore del bosco, mostrando comunque un'ottima capacità di ripresa quando si creano le condizioni di luce loro favorevoli (foto di Agostino Ferrara, superiore e mediana, e di Marco Borghetti, inferiore).

Un albero di abete rosso con chioma colonnare (si parla anche di abeti a punta, dal termine Spitzfichte degli autori di lingua tedesca) nella pecceta subalpina. Man mano che si sale di quota si nota frequentemente un cambiamento nella forma della chioma che, come adattamento alle condizioni ambientali, tende verso forme colonnari. Il fenotipo colonnare è oggetto di indagini per valutarne sia l'ereditarietà genetica che le potenzialità dal punto di vista produttivo [4]  (foto di Marco Borghetti). 

Pecceta subalpina, molto lacunosa, con sottobosco a brughiera con ginepro nano, erica carnea e rododendro (foto di Marco Borghetti).

Diverso è il caso dei boschi di abete rosso che si trovano a quote più basse, nella fascia montana. Sono boschi importanti dal punto di vista produttivo, nei quali però le scelte selvicolturali hanno determinato frequentemente delle forzature, sia in termini di composizione specifica (l'abete rosso è stato per molto tempo favorito rispetto ad altre specie come l'abete bianco e il faggio) sia in termini di struttura, nel senso che sono stati plasmati boschi, oltreché monospecifici, anche monoplani e uniformi. 

Nelle immagini superiori viene documentata la struttura di boschi di abete rosso della fascia montana (Val di Fiemme, provincia di Trento): ottima forma dei fusti ma piante filate, in forte competizione fra loro, molto vulnerabili ai colpi di vento (foto di Anna Rita Rivelli). Nella terza immagine dall'alto, tagli su piccole superfici per promuovere la rinnovazione naturale nella pecceta montana (foto di Marco Borghetti). Nell'immagine inferiore è visibile l'effetto di una tempesta di vento su un bosco di abete rosso della Val di Stava, provincia di Trento. Sono scampati alla furia del vento solo i larici ed è alla messa a dimora di piantine di larice (visibili al centro della foto) che si è fatto ricorso per la ricostituzione del bosco (foto di Agostino Ferrara).

Sopra, peccete attaccate dal bostrico (Ips typographus) in Val di Fiemme. Sotto, particolare delle gallerie scavate dalle larve dello scolitide sotto corteccia (foto fornite da Andrea Bertagnolli, MCF).

Questi boschi si sono rivelati in molti casi vulnerabili ai fattori di disturbo come le tempeste di vento. Sono stati questi boschi, monospecifici, a struttura semplificata, dove gli alberi crescevano stretti gli uni gli altri, quelli che sotto lo sferzare della tempesta Vaia, a fine ottobre 2018, sono caduti gli uni addosso agli altri, con un devastante effetto domino.

Ma il discorso vale a scala più ampia. Il bosco artificiale di abete rosso è stato forzato, in buona parte dell'Europa temperata, al di là della zona di diffusione naturale della specie, in sostituzione del naturale bosco di latifoglie, di querce e faggi. Si tratta di quei  boschi puri e omogenei di che sono stati edificati seguendo l’impostazione selvicolturale codificata dagli studiosi dell’accademia sassone di Tharandt, due secoli fa.

In diverse regioni d'Europa il cambiamento del clima sta determinando fenomeni di crisi di questi boschi monospecifici e omogenei, dalla Germania, alla Carinzia alle montagne dei Carpazi. Spesso, nell'ultimo decennio, ci si è trovati davanti a casi in cui lo stress fisiologico determinato dalle campane di calore e siccità viene seguito da forti e letali attacchi di insetti scolitidi [5, 6, 7].

Foreste plasmate dalla selvicoltura finanziaria definita, nei principi e nei metodi, dagli studiosi dell'accademia di Tharandt, fondata in Sassonia da Heinrich Cotta nel 1811: piantagioni monospecifiche di conifere, accorpamenti omogenei di bosco scalati fra le diverse classi cronologiche, turni di utilizzazione fissati in modo da massimizzare il reddito fondiario. Questo tipo di modello gestionale mostra di essere vulnerabile alle nuove condizioni climatiche (foto di Annemarie Bastrup-Birk).

La Magnifica Comunità di Fiemme e la sua gestione forestale adattativa

In Val di Fiemme, in provincia di Trento, esiste una proprietà collettiva del territorio che rappresenta un rilevante modello di gestione forestale, da molti decenni importante caso di scuola e di istruzione.

La Valle di Fiemme, in provincia di Trento.

I contrapposti versanti della Val di Fiemme. Sopra: il versante, moderatamente acclive, esposto a settentrione; sui suoi suoli acidi, di buona fertilità, derivanti dai porfidi della catena montuosa dei Lagorai, vegeta il bosco produttivo di abete rosso (pecceta montana e altimontana) della Magnifica Comunità di Fiemme; si nota, al centro della foto, il carrello di una teleferica che sta avallando dei tronchi derivanti da un taglio di rinnovazione marginale (ben visibili i fusti atterrati). Immagine di mezzo: lo scosceso versante che guarda a mezzogiorno; qui, su suoli sottili e rocciosi derivanti da rocce dolomitiche, vegeta una pineta di pino silvestre, con funzione di protezione idrogeologica. Sotto: una catasta di tronchi di abete rosso.

Pile di tavole di abete rosso nella segheria della Magnifica Comunità di Fiemme. L'abete rosso ha un legno di colore chiaro con venature poco marcate. Tenero e facilmente lavorabile, possiede una buona elasticità e ha buone capacità di isolamento termico. E' però attaccabile da muffe e quindi non è consigliato per impieghi all'esterno (gli si preferisce il larice) e in ambienti ricchi di umidità (foto di Marco Borghetti).

Si tratta della Magnifica Comunità di Fiemme (MCF), ente pubblico di origine storica le cui origini affondano in un lontano passato. Per rintracciarne le radici dobbiamo infatti risalire agli albori del secondo millennio dopo Cristo; ai tempi di Corrado il Salico, imperatore del Sacro Romano Impero, quando tutto il territorio della marca trentina, in buona parte corrispondente a quello dell'attuale Provincia Autonoma, venne posto sotto il potere temporale del principe-vescovo di Trento. Con alterne vicende, il principato vescovile di Trento resterà organizzazione statuale autonoma fino al periodo napoleonico.

Come vallata interna, difficilmente raggiungibile, la valle di Fiemme godeva di una indipendenza ed autonomia di fatto. Tale autonomia ebbe un riconoscimento formale nel luglio del 1111, quando il principe-vescovo Ghebardo firmò i patti che da lui presero il nome (i patti ghebardini), con i quali veniva concessa una sorta di investitura feudale ai rappresentanti della comunità della Val di Fiemme. E' in forza di questi patti che la comunità di Fiemme iniziò ad essere organismo riconosciuto, dotato di autonomia e capacità negoziale, nel quadro del principato vescovile.

I privilegi di autonomia della comunità di Fiemme ebbero successive conferme, fra le quali assunse  particolare importanza quella accordata dal principe-vescovo Enrico di Metz, nel 1314, che riconobbe agli  abitanti della valle la proprietà collettiva e il diritto d'uso della loro terra, inclusi il diritto di pascolo e di raccolta del legname della foresta.  Da allora, per circa  nove secoli,  la Magnifica Comunità di Fiemme (dotata di articolati organi amministrativi periodicamente eletti dai valligiani residenti)  ha gestito i suoi boschi, in auto-governo, come un bene comune e duraturo. Modalità e finalità che tuttora valgono, pur adattate all'attuale esigenza di coniugare la sostenibilità e la valorizzazione delle foreste all'economia basata sul turismo [9].

Fino a pochi decenni fa, la selvicoltura applicata ai boschi della MCF era quella del bosco puro, di origine artificiale, di abete rosso. A turni prefissati, stabiliti sulla base delle dimensioni raggiunte dalle piante, si facevano tagli su vaste superfici (i cosiddetti tagli a fratte) e si provvedeva poi alla rinnovazione artificiale del bosco. In modo sistematico l'abete rosso veniva favorito rispetto alle altre specie, come l'abete bianco, che veniva prontamente eliminato laddove fosse riuscito a insediarsi.

Questo modello è stato superato nelle prescrizioni colturali dei piani di gestione forestale del dopoguerra. Oggi le utilizzazioni vengono programmate in base a necessità colturali, confidando sulla rinnovazione naturale del bosco, resa possibile dall'adozione di tagli di tipo marginale, opportunamente sagomati sulla forma del bosco. E, laddove si insedia la rinnovazione di abete bianco, o di faggio, questa viene rispettata e assistita. Modalità colturali di tal genere sono considerate fra quelle idonee per indirizzare la pecceta pura e uniforme verso un bosco più variegato dal punto di vista della struttura e della composizione specifica, e più resistente ai fattori di stress, abiotici e biotici  [10].


[1] Piussi P. (1986). La rinnovazione della pecceta subalpina. Le Scienze 215: 58-67.

[2] D’Aprile D. et al. (2020). Effects of Twenty Years of Ungulate Browsing on Forest Regeneration at Paneveggio Reserve, Italy. Forests 11 (6): 612. 

[3] Bače R. et al. (2012) Natural regeneration in Central-European subalpine spruce forests: Which logs are suitable for seedling recruitment? Forest Ecology and Management 266: 254-262,

[4] Apostol Ecaterina N., Budeanu M. (2019). Adaptability of Narrow-Crowned Norway Spruce Ideotype (Picea abies (L.) Karst. pendula Form) in 25 Years Half-Sib Comparative Trials in the Eastern Carpathians. Forests 10 (5): 395.

[5] Jandl R. (2020). Climate-induced challenges of Norway spruce in Northern Austria. Trees, Forests and People 1: 100008.

[6] Tudoran G.M., Zotta M. (2020). Adapting the planning and management of Norway spruce forests in mountain areas of Romania to environmental conditions including climate change. Science of The Total Environment 698, 133761.

[7] De Groot M. et al. (2020). Forest management history is an important factor in bark beetle outbreaks: Lessons for the future. Forest Ecology and Management 433: 467-474.

[8] Hlásny T. et al. (2019). Living with bark beetles: impacts, outlook and management options. From Science to Policy 8. European Forest Institute.

[9] Degiampietro C. (1972). Storia di Fiemme e della magnifica comunità dalle origini all'istituzione dei comuni. Edizioni Manfrini, Trento.

[10] Hilmers T. et al. (2020). Assessing transformation scenarios from pure Norway spruce to mixed uneven-aged forests in mountain areas. European Journal of Forest Research 139: 567–584. 

Val di Fiemme, provincia di Trento. Nell'immagine superiore sono visibili i risultati di tagli raso su vaste superfici (taglio a fratte), dopo i quale occorre procedere per via artificiale alla ricostituzione del bosco (foto di Marco Borghetti, giugno 2022). Immagini mediana e inferiore: il sistema di taglio attualmente applicato nei boschi della Magnifica Comunità di Fiemme. Si tratta di tagli marginali, a strisce irregolari, sagomati sul contorno del bosco, cui normalmente segue la rinnovazione naturale. Nell'immagine mediana si nota il taglio fatto sul margine dopo la piena affermazione della rinnovazione naturale sulla striscia tagliata qualche anno addietro. Nell'immagine inferiore, in primo piano, giovani piantine derivanti da rinnovazione naturale, nella zona di margine (foto di Anna Rita Rivelli).

Pecceta altimontana di ottima fertilità, in fase adulta (foresta di Paneveggio, Val di Fiemme, provincia di Trento) (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).