Si tratta della Magnifica Comunità di Fiemme (MCF), ente pubblico di origine storica le cui origini affondano in un lontano passato. Per rintracciarne le radici dobbiamo infatti risalire agli albori del secondo millennio dopo Cristo; ai tempi di Corrado il Salico, imperatore del Sacro Romano Impero, quando tutto il territorio della marca trentina, in buona parte corrispondente a quello dell'attuale Provincia Autonoma, venne posto sotto il potere temporale del principe-vescovo di Trento. Con alterne vicende, il principato vescovile di Trento resterà organizzazione statuale autonoma fino al periodo napoleonico.
Come vallata interna, difficilmente raggiungibile, la valle di Fiemme godeva di una indipendenza ed autonomia di fatto. Tale autonomia ebbe un riconoscimento formale nel luglio del 1111, quando il principe-vescovo Ghebardo firmò i patti che da lui presero il nome (i patti ghebardini), con i quali veniva concessa una sorta di investitura feudale ai rappresentanti della comunità della Val di Fiemme. E' in forza di questi patti che la comunità di Fiemme iniziò ad essere organismo riconosciuto, dotato di autonomia e capacità negoziale, nel quadro del principato vescovile.
I privilegi di autonomia della comunità di Fiemme ebbero successive conferme, fra le quali assunse particolare importanza quella accordata dal principe-vescovo Enrico di Metz, nel 1314, che riconobbe agli abitanti della valle la proprietà collettiva e il diritto d'uso della loro terra, inclusi il diritto di pascolo e di raccolta del legname della foresta. Da allora, per circa nove secoli, la Magnifica Comunità di Fiemme (dotata di articolati organi amministrativi periodicamente eletti dai valligiani residenti) ha gestito i suoi boschi, in auto-governo, come un bene comune e duraturo. Modalità e finalità che tuttora valgono, pur adattate all'attuale esigenza di coniugare la sostenibilità e la valorizzazione delle foreste all'economia basata sul turismo [9].
Fino a pochi decenni fa, la selvicoltura applicata ai boschi della MCF era quella del bosco puro, di origine artificiale, di abete rosso. A turni prefissati, stabiliti sulla base delle dimensioni raggiunte dalle piante, si facevano tagli su vaste superfici (i cosiddetti tagli a fratte) e si provvedeva poi alla rinnovazione artificiale del bosco. In modo sistematico l'abete rosso veniva favorito rispetto alle altre specie, come l'abete bianco, che veniva prontamente eliminato laddove fosse riuscito a insediarsi.
Questo modello è stato superato nelle prescrizioni colturali dei piani di gestione forestale del dopoguerra. Oggi le utilizzazioni vengono programmate in base a necessità colturali, confidando sulla rinnovazione naturale del bosco, resa possibile dall'adozione di tagli di tipo marginale, opportunamente sagomati sulla forma del bosco. E, laddove si insedia la rinnovazione di abete bianco, o di faggio, questa viene rispettata e assistita. Modalità colturali di tal genere sono considerate fra quelle idonee per indirizzare la pecceta pura e uniforme verso un bosco più variegato dal punto di vista della struttura e della composizione specifica, e più resistente ai fattori di stress, abiotici e biotici [10].
[1] Piussi P. (1986). La rinnovazione della pecceta subalpina. Le Scienze 215: 58-67.
[2] D’Aprile D. et al. (2020). Effects of Twenty Years of Ungulate Browsing on Forest Regeneration at Paneveggio Reserve, Italy. Forests 11 (6): 612.
[3] Bače R. et al. (2012) Natural regeneration in Central-European subalpine spruce forests: Which logs are suitable for seedling recruitment? Forest Ecology and Management 266: 254-262,
[4] Apostol Ecaterina N., Budeanu M. (2019). Adaptability of Narrow-Crowned Norway Spruce Ideotype (Picea abies (L.) Karst. pendula Form) in 25 Years Half-Sib Comparative Trials in the Eastern Carpathians. Forests 10 (5): 395.
[5] Jandl R. (2020). Climate-induced challenges of Norway spruce in Northern Austria. Trees, Forests and People 1: 100008.
[6] Tudoran G.M., Zotta M. (2020). Adapting the planning and management of Norway spruce forests in mountain areas of Romania to environmental conditions including climate change. Science of The Total Environment 698, 133761.
[7] De Groot M. et al. (2020). Forest management history is an important factor in bark beetle outbreaks: Lessons for the future. Forest Ecology and Management 433: 467-474.
[8] Hlásny T. et al. (2019). Living with bark beetles: impacts, outlook and management options. From Science to Policy 8. European Forest Institute.
[9] Degiampietro C. (1972). Storia di Fiemme e della magnifica comunità dalle origini all'istituzione dei comuni. Edizioni Manfrini, Trento.
[10] Hilmers T. et al. (2020). Assessing transformation scenarios from pure Norway spruce to mixed uneven-aged forests in mountain areas. European Journal of Forest Research 139: 567–584.