Faggete dell'Appennino: atavismi tropicali, cambiamenti climatici, selvicoltura in divenire
Fine botanico e insigne selvicoltore, Alberto Hofmann ci ha consegnato un inquadramento mirabilmente chiaro e approfondito, sul piano ecologico e colturale, delle faggete del nostro paese [6]. Ben individuate, nella sua opera, sono le faggete dell'Appennino centro-meridionale: quelle che osserviamo, più o meno, a partire dalla Toscana procedendo verso Sud; e che poi assumono pregnanti particolarità, sul piano della storia colturale, della struttura e della flora di accompagnamento, soprattutto lungo il versante tirrenico dell'Appennino, dall'Abruzzo in giù.
Si tratta, alle quote intermedie della fascia montana, delle faggete termofile ad agrifoglio e anemone appenninica, diffuse fra gli 800 e i 1400-1500 m di quota, in cui la specie più caratteristica, nel piano inferiore della foresta, è rappresentata dall'agrifoglio (Ilex aquifolium L.). Tanto che a lungo l'associazione vegetale è stata indicata dai botanici con il termine di Aquifolio-Fagetum [7]; gli specialisti delle associazioni vegetali hanno poi introdotto ulteriori raffinati 'distinguo' tassonomici, che qui non approfondiamo. Ci limitiamo a ricordare che la Direttiva UE-Habitat ricomprende queste faggete nell'Habitat 9210 'Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex', in cui oltre a faggio e agrifoglio, alcune delle specie caratteristiche sono: fra quelle arboree Taxus baccata e Quercus cerrris, fra quelle erbacee e arbustive Aremonia agrimonioides, Anemone apennina, Daphne laureola, Euphorbia amygdaloides, Rosa arvensis, Crataegus oxyacantha, Ruscus aculeatus, Alium sp. ecc., con elevata variabilità in funzione delle caratteristiche pedo-climatiche. Si tratta di una formazione che ha il suo optimum in stazioni con clima d'impronta marittima e con frequenti nebbie, come si verifica lungo i versanti appenninici che guardano a occidente, esposti alle correnti umide provenienti dal mar Tirreno.
Gli atavismi tropicali, di cui si scrive nel titolo, fanno soprattuto riferimento alle specie che bene caratterizzano, con la loro presenza, la faggeta montana termofila, vale a dire l'agrifoglio (con una presenza costante, spesso a gruppi, che si estende anche alle cerrete mesofile) e il tasso (sporadico invece), considerati entrambi come relitti della flora del periodo terziario [1, 2, 8].
Per inquadrare la faccenda, è necessario un passo indietro, un po' lungo invero. Poco meno di sei milioni di anni fa, verso la fine del periodo terziario (iniziato 65 milioni e terminato meno di due milioni di anni fa), si completò un grande evento geologico: la chiusura, dovuta probabilmente a un graduale sollevamento tettonico, dello stretto di Gibilterra. Le cause di questo evento sono tuttora dibattute dai geologi, ma ci sono evidenze convincenti sul fatto che questo sollevamento determinò la separazione dell’oceano Atlantico dal mar Mediterraneo. Con la conseguenza che quest'ultimo in buona parte evaporò, andando così incontro a una fase di forte ritiro e disseccamento. Successivamente (intorno a 5 milioni e mezzo di anni fa) il canale di Gibilterra si ripristinò e il bacino del Mediterraneo si riempì nuovamente. Da allora, il Mediterraneo conservò livelli di salinità assai superiori a quelli dell’oceano Atlantico; questo periodo di sconvolgimento geologico e di forte cambiamento nelle caratteristiche del Mediterraneo va sotto il nome di ‘crisi di salinità del Messiniano’ [9].
Con la crisi del Messiniano ebbe sostanzialmente fine la fase del clima caldo-umido, d’impronta tropicale, che aveva dominato per buona parte del terziario nel bacino del Mediterraneo. Il passaggio verso un clima a forte stagionalità (quello che oggi definiamo clima mediterraneo), non solo per le temperature ma anche per la presenza di una fase estiva marcatamente secca, si definì poi durante il Pliocene, 3-3.5 milioni di anni fa [10].
Una delle conseguenze di questi antichi cambiamenti climatici fu il passaggio da una vegetazione dominata da specie con foglie dalla consistenza tenera e dalla cuticola sottile (le laurifille), a specie con foglie rigide con una cuticola spessa (le sclerofille): quelle che oggi costituiscono la vegetazione della macchia mediterranea. Alcune specie (come il tasso, l'agrifoglio, il pungitopo, ecc.) resistono oggi nell’ambiente mediterraneo-temperato, laddove il microclima è adeguato, come presenze relittuali di una vegetazione che si era evoluta nel clima caldo-umido del terziario. Anche più di recente, peraltro, durante il post-glaciale, cambiamenti del clima verso condizioni di maggiore aridità hanno imposto la selezione di specie dalla cuticola spessa al posto di quelle con cuticola sottile. E’ documentato bene, dalle analisi paleobotaniche fatte sui pollini, quanto accaduto nell’isola di Creta dove, 8-9 mila anni fa le querce decidue, a cuticola fogliare fine, furono sostituite dalla sclerofille, a cuticola spessa. Oppure nelle isole Baleari e in Sicilia, dove 4-4.5 mila anni fa, nell’Olocene medio, l’accentuarsi dell’aridità determinò la sostituzione di specie mesofile (quelle adattate a condizioni di buona umidità del suolo), come il nocciolo, l’ontano e il faggio, con sclerofille ben adattate a sopportare lunghi periodi di aridità [11, 12].
Si tratta, come si intuisce, di cambiamenti climatici avvenuti nell’arco di lunghissimi periodi di tempo. Non paragonabili quindi, in termini di velocità (è bene rimarcarlo) a quelli che oggi sono provocati dal cambiamento climatico antropogenico. Ma anche oggi, come in passato, le caratteristiche della cuticola fogliare potrebbero rappresentare un aspetto importante nella risposta della vegetazione alle nuove condizioni climatiche.
[1] Peterken G.F. and Lloyd P.S. (1967). Biological flora of the British Isles, Ilex aquifolium L. Journal of Ecology 55: 841–858.
[2] Pignatti S. (1978). Evolutionary trends in Mediterranean Flora and Vegetation. Vegetatio 37: 175-185.
[3] Rita A. et al. (2015). Functional adjustments of xylem anatomy to climatic variability: insights from long-term Ilex aquifolium tree-ring series. Tree Physiology 35 (8): 817- 828.
[4] Berger S. (2007). Temperature influence on photosynthetic activity of Ilex aquifolium L. - Photosynthetic advantage of climate change? Verh Ges Ökol 37: 356.
[5] Uzquiano P. (2015). All about yew: on the trail of Taxus baccata in southwest Europe by means of integrated palaeobotanical and archaeobotanical studies. Veget Hist Archaeobot 24: 229-247.
[6] Hofmann A. (1991). Il faggio e le faggete in Italia. Ministero dell’Agricoltura e delle foreste, Corpo Forestale dello Stato. Collana Verde n. 81.
[7] Gentile S. (1969). Sui faggeti dell’Italia meridionale. Atti Ist. Bot. Lab. Critt. Univ. Pavia 6 (5): 207-306.
[8] Linares J.C. (2013). Shifting limiting factors for population dynamics and conservation status of the endangered English yew (Taxus baccata L., Taxaceae). Forest Ecology and Management 291: 119-127.
[9] Krijgsman W. et al. (2018). The Gibraltar Corridor: Watergate of the Messinian Salinity Crisis. Marine Geology 403: 238-246.
[10] Suc JP. (1984). Origin and evolution of the Mediterranean vegetation and climate in Europe. Nature 307: 429–432.
[11] Pérez-Obiol R. and Sadori L. (2007). Similarities and dissimilarities, synchronisms and diachronisms in the Holocene vegetation history of the Balearic Islands and Sicily. Veget Hist Archaeobot 16: 259–265
[12] Roberts N. et al. (2011). Climatic, vegetation and cultural change in the eastern Mediterranean during the mid-Holocene environmental transition. The Holocene 21 (1): 147-162.