Una specie importante per la foresta dell'Appennino
L'abete bianco (Abies alba Miller) è una delle specie forestali più emblematiche e importanti, sia in Europa sia in Italia, dove fu messo in cultura fin dal medioevo all'interno delle grandi proprietà monastiche, come quelle di Vallombrosa e di Camaldoli. Si tratta di una grande conifera (è uno degli alberi che in Europa raggiungono le maggiori altezze, anche oltre i 50 metri) la cui distribuzione naturale interessa soprattutto le catene montuose delle medie latitudini (Pirenei, Giura svizzero e francese, Alpi, Carpazi), ma con diffusioni di rilievo anche lungo le montagne balcaniche e la catena appenninica. Le caratteristiche dell'areale di vegetazione dell'abete, e la differenziazione genetica fra le popolazioni, sono legate alle vicende che la specie ha avuto durante le glaciazioni e nel periodo post-glaciale. Per la nostra penisola, alcune recenti indagini hanno fornito nuove e interessanti conoscenze sulla sua storia naturale [1].
La presenza dell’abete bianco nella foresta montana dell'Appennino è oggi però ridotta, come conseguenza dell'azione dell'uomo, che lo ha utilizzato ampiamente nel passato per ottenere legname da lavoro. Lo ritroviamo a chiazze, qua e là, in comunità forestali a prevalenza di faggio e cerro, in località fra loro disgiunte.
L'abete è una specie di elevato valore per la sua funzione ecologica e funzionale. Questo è importante in rapporto alla crisi climatica e all'intensificazione delle campane di calore e siccità. Sull'Appennino le formazioni più colpite sono i querceti, ma in alcuni casi risultano vulnerabili i boschi di faggio che possono essere colpiti dalle gelate tardive.
Diverse ricerche, svolte in centro Europa, nella penisola balcanica, e anche nella regione mediterranea, hanno dimostrato che la biodiversità aiuta nella risposta del bosco ai fattori del cambiamento climatico, in particolare le interazioni fra le specie possono essere positive per il bilancio idrico degli alberi. Spesso l'abete bianco reagisce in modo migliore alla siccità rispetto alle specie consociate, come abete rosso e faggio [2].
Per effetto del cambiamento climatico, ci si aspetta uno scivolamento verso nord del clima caldo e siccitoso. Tanto che in un reportage sul deperimento delle foreste in Germania, pubblicato su Science [3], i forestali tedeschi stanno valutando l’utilizzo di popolazioni provenienti da latitudini mediterranee, che potrebbero aver già sviluppato la resistenza alle condizioni climatiche previste per le latitudini più settentrionali.
Lungo la catena appenninica la ricostituzione del bosco misto faggio-abete bianco appare quindi come una opportunità per avere una foresta più ricca e resistente, in accordo con il principio secondo il quale il miglior modo per conferire alla foresta resistenza al cambiamento climatico è quello di aumentarne i livelli di biodiversità funzionale. Non trascurando il fatto che la presenza dell'abete assicura anche una diversificazione della produzione legnosa.
Come fare? Dove l'abete è tuttora presente, sappiamo bene come agire per promuovere la sua rinnovazione naturale. Molto in sintesi, bisogna creare delle discontinuità nella copertura della foresta ben calibrate, come dimensioni e orientamento, sullo stato della rinnovazione di abete nel piano inferiore. Si è visto che spesso basta il prelievo di una o poche grosse piante del piano dominante a creare 'vuoti' in cui l’abete forma gruppi di rinnovazione di promettente sviluppo [2].
Ma ci sono anche estese zone della foresta appenninica montana dove l'abete bianco non è più presente. In questi casi la prospettiva di una ricostituzione del bosco misto dovrebbe prevedere la reintroduzione dell'abete per via artificiale. Si tratta di una proposta che può suscitare timori, ma che oggi può contare su una conoscenza solida della variabilità genetica della specie su base geografica, delle relazioni intraspecifiche e dei processi evoluzionistici. Ad esempio, approfondite ricerche (finanziate dal Parco Nazionale dell'Appennino tosco- emiliano e condotte dal gruppo di ricerca CNR (IBBR) guidato da Andrea Piotti) sull’origine e la variabilità genetica delle popolazioni di abete bianco dell'Appennino settentrionale hanno dimostrato l'origine locale della maggior parte delle piante campionate. Queste popolazioni potrebbero quindi costituire il materiale genetico di partenza per una nuova diffusione dell'abete nella foresta montana dell'Appennino settentrionale, oggi dominata dal bosco monospecifico di faggio. Nell'Appennino tosco-emiliano, dove anche l'abete rosso ha un'area di vegetazione naturale (Campolino), ci potrebbe essere anche l'interessante opportunità del bosco misto con tre specie di copertura: faggio, abete bianco e abete rosso.
Per le necessarie raccolte di seme e la produzione del materiale da diffondere bisognerà ricorrere a popolazioni ad alta variabilità genetica, campionando parecchie centinaia di individui opportunamente distribuiti al fine di intercettare la maggior quota di variabilità disponibile. Saranno poi necessari controlli per evitare impoverimenti genetici durante il processo di produzione vivaistica, adeguati protocolli per la semina o la messa a dimora delle piantine e la selezione dei micro-ambienti adatti (utilizzando anche i metodi della precision forestry) e poi regolari controlli sulla variabilità genetica delle popolazioni introdotte. Si veda, al proposito, l'interessante progetto 'mygardenoftrees'.
[1] Piotti A, et al. (2017). Unexpected scenarios from Mediterranean refugial areas: disentangling complex demographic dynamics along the Apennine distribution of silver fir. Journal of Biogeography 44 (7): 1547-1558.
[2] Borghetti M., Moretti N. (2020). Basilicata, terra di boschi e studi forestali. Forest@ 17: 1-16. In questo lavoro è reperibile la bibliografia relativa ai benefici funzionali legati alla presenza dell'abete bianco e ai meccanismi della sua rinnovazione naturale.
[3] Popkin G. (2021) Forest Fight. Science, 374. No. 6572.