I costoni rocciosi, sui Monti del  Massiccio del Pollino (v. mappa), sui quali vegetano gli alberi più vecchi di pino loricato: un ambiente selvaggio che ha protetto la specie dalla manipolazione dell’uomo, consentendo la sopravvivenza di quegli esemplari millenari fra i quali è stato recentemente riconosciuto l'albero più vecchio d’Europa (foto di Angelo Nolè). Scorrere per la fotostoria.

La zona del Parco Nazionale del Pollino dove vegetano le popolazioni naturali di pino loricato.

Le popolazioni di pino loricato sfuggono alla competizione con il faggio accantonandosi nelle impervie  zone rocciose; Serra delle Ciavole, Parco Nazionale del Pollino (foto di Aldo Schettino).

Il pino loricato: magnifica ‘corazza’ del Parco Nazionale del Pollino

Con  passione e competenza, Silvano Avolio, a lungo responsabile della Sezione di Cosenza dell'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo (ora confluito nel centro di ricerca CREA-Foreste e Legno), è stato pioniere nel descrivere in modo sistematico le popolazioni di pino loricato dell’Appennino calabro-lucano, attraverso accurate ricognizioni ecologiche, strutturali e ambientali, completate da interessanti sperimentazioni colturali [1]. I risultati dei suoi studi sono stati riassunti in un bel libro dedicato a questa specie arborea, eletta ad emblema del Parco Nazionale del Pollino [2]. La strada aperta da Avolio è stata seguita, negli ultimi decenni, da numerosi altri ricercatori che con i loro studi hanno esplorato, in modo sempre più approfondito, la biologia e l’ecologia di questa bella specie, dal grande fascino naturalistico e scientifico.

E’ il pino dalla chiara corteccia ad aspetto di corazza: questo il significato trasmesso dal nome comune (pino loricato: dal latino lorica «corazza»] e da quello scientifico, sia che lo si elevi a rango di specie  (Pinus leucodermis Ant.)  sia che lo si inquadri come varietà ecotipica di una specie più largamente diffusa nella penisola balcanica (Pinus heldreichii var. leucodermis Ant.) [15][leuco: dal greco λευκός «bianco»; derma, dal greco δέρμα «pelle»]. Dove lorica fa riferimento all’aspetto della corteccia dei pini ultrasecolari, simile alla corazza degli opliti romani. Ma, in modo suggestivamente allegorico, richiama anche l'habitat naturale di questa specie: quei costoni rocciosi, selvaggi e per molti aspetti irraggiungibili che la hanno efficacemente protetta, a guisa di corazza, dalla manipolazione dell’uomo, consentendo la sopravvivenza di quegli esemplari millenari fra i quali è stato recentemente riconosciuto l'albero più vecchio d’Europa [3].

Il pino loricato forma, sull’Appennino calabro-lucano, diversi popolamenti naturali: quelli presenti sul Massiccio del Pollino, sul Monte Alpi e sul complesso montuoso La Spina-Zàccana (in Basilicata) e quelli che vegetano sui gruppi montuosi, più spostati verso la costa tirrenica, di Palanuda-Pellegrino e di Montéa-La Caccia, in Calabria (v. mappa); quest’ultimo segna il limite occidentale e meridionale di diffusione della specie. La superficie complessiva interessata dalle popolazioni di pino loricato è di circa 5700 ettari, dei quali la metà si trova sul Pollino. La specie si spinge verso le vette più alte di queste montagne, a oltre 2200 metri di quota; ma, a testimonianza di un’ampia valenza ecologica, discende molto anche verso il basso, fino ai 500 m di altitudine (sui monti La Spina e La Caccia), dove entra in contatto con la macchia mediterranea [1]. Uno studio di idoneità stazionale, fondato sull’analisi di variabili topografiche e climatiche, ha messo in luce che la specie è attualmente diffusa, nel territorio del Parco Nazionale del Pollino, su meno del 10 per cento della sua area potenziale di diffusione [4].

Alle quote più alte il pino loricato appare come una specie rupestre, accantonata su costoni rocciosi dove sfugge alla competizione con le altre specie, soprattutto del faggio. Qui si trovano gli alberi di maggiori dimensioni, all’interno di popolazioni in cui gli alberi vecchi, spesso plurisecolari, sono accompagnati da piante di 40-50 anni, spesso cresciute in siti inospitali, fra le rocce. Si tratta di una distribuzione per età che sembra riflettere una pregressa difficolta di affermazione della rinnovazione naturale, probabilmente a causa del pascolo [5]. E’ una situazione che appare oggi in via di miglioramento grazie alle misure di protezione previste per la zona A del Parco, quella di massima tutela, in cui ricadono le aree di alta quota. Alle quote più basse si ritrovano le popolazioni più giovani, con evidenti dinamiche di espansione in ambienti aperti creati dal passaggio del fuoco, favorite da efficaci meccanismi di disseminazione, abbastanza spesso per via idrocora sui costoni rocciosi [4, 5; A. Saracino, comunicazione personale].

Recenti ricerche dendro-ecologiche (indagini nel corso delle quali la crescita degli alberi, misurata dallo spessore degli anelli legnosi del fusto, è stata messa in relazione con le variabili climatiche) hanno mostrato come, negli ultimi decenni, i vecchi alberi (plurisecolari se non millenari) che vegetano verso il limite superiore della vegetazione, nelle zone più fredde, manifestano un aumento significativo della crescita, come conseguenza dell’aumento della temperatura dovuto al riscaldamento climatico. Ad alta quota questo riscaldamento non si associa a condizioni di stress idrico, in quanto i rilievi montuosi intercettano frequentemente, in forma di nebbie, le correnti atmosferiche umide provenienti dal mar Tirreno. Protetti dagli incendi e dalle ‘campane’ di siccità, gli alberi vetusti di alta quota avrebbero quindi buone potenzialità di adattamento al cambiamento climatico in corso. Diversa è la situazione per le popolazioni delle quote più basse dove  il riscaldamento climatico, associandosi a condizioni di stress idrico, non contribuisce alla crescita in modo positivo [5, 6, 7, 8].

L’ampio gradiente altitudinale lungo il quale si estendono le popolazioni di pino loricato si riflette nella variazione di alcuni tratti fisiologici che possono avere un significato adattativo. E’ il caso della dormienza del seme. Il seme di pino loricato è caratterizzato da una dormienza di tipo fisiologico, che viene superata solo dopo che il seme è passato attraverso un periodo più o meno lungo di freddo. E’ stato visto che la profondità di questa dormienza (esprimibile come numero di giorni di freddo di cui il seme necessità per uscire dalla dormienza) aumenta con la quota. Questa variazione può essere interpretata sul piano ecologico: ad alta quota il seme è meglio che germini a primavera ben consolidata, mentre alle quote più basse può essere favorevole una germinazione precoce, in modo che la piantina possa far conto su di una radice ben sviluppata nel momento in cui inizia il periodo di siccità estivo [9]. Alcune  caratteristiche della germinazione del seme di pino loricato appaiono sotto influenza genetica, suggerendone il significato di tipo adattativo [10].

Valutando le dinamiche di popolazione nel loro complesso, i processi di rinnovazione naturale, la notevole resistenza al clima, la capacità di adattarsi a suoli ingrati, la spiccata capacità colonizzatrice, anche in aree percorse dal fuoco, unita al vigore vegetativo delle piante, alla resistenza agli attacchi parassitari e alla sua grande longevità,  il pino loricato dell’Appennino calabro-lucano non pare da considerarsi, come talvolta si è sostenuto in passato, come una specie a rischio.

Quelle dell’Appennino calabro-lucano sono comunque un insieme di popolazioni isolate rispetto all’area centrale di vegetazione della specie (Pinus heldreichii) nella penisola Balcanica [15], e questo ha attratto l’interesse dei genetisti di popolazione che, nel corso del tempo, hanno condotto diversi studi sulla variabilità della specie, usando varie famiglie di marcatori genetici. I risultati emersi indicano che le popolazioni di pino loricato dell’Italia meridionale e quelle della penisola balcanica siano da considerarsi, pur ben differenziate, come appartenenti alla medesima specie biologica [11]. L’elevata variabilità osservata fra le popolazioni appenniniche è stata interpretata, in via di ipotesi, come possibile effetto di fenomeni di deriva genetica e di riproduzione in parentela stretta [12, 13, 14]; studi recenti, condotti su popolazioni distribuite lungo un ampio gradiente altitudinale indicano tuttavia un ampio rimescolamento della variabilità genetica neutrale fra le popolazioni [8]. A breve verrà reso noto un quadro più esaustivo dei pattern di variabilità genetica delle popolazioni appenniniche di pino loricato, scaturito da un lavoro di minuzioso campionamento e dall’applicazione di un ampio numero di marcatori molecolari  [Andrea Piotti, comunicazione personale].

Concludiamo, per ora, ritornando al filone di studi inaugurato in Italia da Silvano Avolio, quello applicativo della sperimentazione colturale. I rimboschimenti di pino loricato, realizzati dalla Sezione di Cosenza dell'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura mostrano uno ottimo stato vegetativo e sono in grado di rinnovarsi naturalmente. Questi risultati consentono di annoverare il pino loricato fra le conifere di interesse per gli interventi di ricostituzione forestale nella regione mediterranea [2].


[1] Avolio S. (1984).  Il pino loricato (Pinus leucodermis Ant.). Annali dell'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura 15: 77-153.

[2] Avolio S. (1996). Il pino loricato (Pinus leucodermis Ant.). Emblema del Parco Nazionale del Pollino. Edizioni Prometeo, Quaderni del Parco - 7, Castrovillari (CS), 140 pp.

[3 ]Piovesan G. et al. (2018). The oldest dated tree of Europe lives in the wild Pollino massif: Italus, a strip-bark Heldreich's pine. Ecology 99: 1682-1684.

[4] Gargano D., Bernardo L. (2006). Defining population structure and environmental suitability for the conservation of Pinus leucodermis Antoine in central Mediterranean areas. Plant Biosystems - An International Journal Dealing with all Aspects of Plant Biology 140 (3): 245-254.

[5] Todaro L. et al. (2007). Response of Pinus leucodermis to climate and anthropogenic activity in the National Park of Pollino (Basilicata, Southern Italy). Biological Conservation 137(4): 507-519. 

[6] Guerrieri M.R. et al. (2008). Risposte ecofisiologiche di Pinus leucodermis ad alta quota in ambiente mediterraneo. Forest@ 5: 28-38. 

[7] Colangelo M. et al (2021). Mediterranean old-growth forests exhibit resistance to climate warming. Science of The Total Environment 801.

[8] Rita A. et al. (2022). Tree growth responses of P. heldreichii to climate along a 1260-m elevation gradient in the Mediterranean mountains revealed a low optimum temperature for productivity. In corso di stampa.

[9] Borghetti M. et al. (1989). Effects of stratification, temperature and light on germination of Pinus leucodermis. Acta Oecologica/Oecologia Plantarum 10: 45-56.

[10]  Giannini R., Bellari C. (1996). Heritability estimate of seed germination parameters in Pinus leucodermis Antoine. Seed Science and Technology 23 (2).

[11] Boscherini G. et al. (1994). Allozyme and chloroplast DNA variation in Italian and Greek populations of Pinus leucodermis. Heredity 73: 284-290. 

[12] Morgante M. et al. (1993). Inheritance and linkage relationships of isozyme variants of Pinus leucodermis Ant. Silvae Genetica 42: 231–236.

[13] Morgante M. et al.  (1991). Mating system analysis in Pinus leucodermis Ant: detection of self-fertilization in natural populations. Heredity 67: 197–203.

[14] Bucci G. et al. (1997). Assessing the genetic divergence of Pinus leucodermis Ant. endangered populations: use of molecular markers for conservation purposes. Theor Appl Genet 95: 1138–1146.

[15] Daskalakou E.N., et al. (2022). Seed germination traits of Pinus heldreichii in two Greek populations and implications for conservation. iForest 15: 331-338. 

I pini loricati 'aggrappati' all'aspro versante roccioso che guarda la piana di Castrovillari (foto di Anna Rita Rivelli).

Alle quote più alte si trovano gli alberi di maggiori dimensioni, all’interno di popolazioni in cui gli alberi vecchi, spesso plurisecolari (sullo sfondo), sono accompagnati da piante di 40-50 anni (in primo piano) (foto di Angelo Nolè).

Lo scrivente davanti al grande albero di pino loricato bruciato alla Gran Porta del Pollino nell’ottobre del 1993. La foto è dell’estate 1995, quando l’albero crollò. Si trattò di un episodio di vandalismo, da collegare ad atteggiamenti di ribellione e protesta nei confronti del Parco Nazionale da poco istituito. Oggi tutto è cambiato, migliaia di visitatori, italiani e stranieri, arrivano nel Parco del Pollino con beneficio e soddisfazione di quasi tutti (foto di Antonio Saracino).

Quel che ora resta del pino loricato bruciato nel 1993 alla Grande Porta del Pollino. Alle sue spalle si nota, facendo il confronto con la foto di sopra, del 1995, come si sia accresciuta la faggeta (foto di Angelo Nolè, 2021).