A due passi da Mantova, nel cuore della pianura padana e di un'agricoltura fra le più intensive del nostro paese, è circondato dai campi di grano, Bosco Fontana. Antica tenuta di caccia e svago della famiglia Gonzaga, rappresenta un bell'esempio di foresta di pianura e custodisce una preziosa biodiversità (foto di Marco Borghetti). Scorrere per la fotostoria.

Foreste planiziarie

Sono, come il nome suggerisce, le foreste che vegetano nelle aree alluvionali o ripariali di pianura, sopravvissute al dissodamento agricolo e all'espansione urbana. Si tratta di boschi misti di latifoglie (querce, olmi, tigli, frassini, carpini, ecc. con specie più igrofile come ontani, pioppi e salici, in una composizione specifica mutevole a seconda delle condizioni ambientali): quel bosco di latifoglie decidue che nel post-glaciale, a partire dal periodo atlantico (fra i sette e i cinque mila anni fa), incominciò a sostituire le formazioni di pino silvestre e di pino mugo che avevano rappresentato, soprattutto nelle pianure settentrionali, la prima colonizzazione arborea dopo la steppa d'impronta boreale [1].

Di foreste planiziarie oggigiorno in Italia ne rimangono poche. Sono quindi da considerare alla stregua di relitti preziosi, sul piano naturalistico e ambientale, e come ecosistemi ad alta biodiversità. Recano inoltre testimonianza, nella loro composizione e struttura, del tradizionale quanto mutevole rapporto, sviluppatosi nel corso dei secoli, fra uomo, natura e bosco. Da rimarcare che le foreste planiziarie sono oggi tra gli ecosistemi terrestri più minacciati, da fattori di stress climatici e da pressioni varie [2], fra le quali sono frequenti: l'inquinamento delle falde e l'emungimento di acqua a scopi agricoli, che nel caso di foreste litoranee può determinare l'abbassamento della falda freatica e l'ingresso di acqua salata con effetti dannosi per le specie arboree [3, 4]; i cambiamenti di uso del suolo (espansione urbana, costruzione di strade, impermeabilizzazioni del suolo in genere) che alterano il bilancio idrologico stazionale, rendendo le foreste planiziarie più dipendenti dalle precipitazioni e quindi più vulnerabili, in particolare laddove il clima è caratterizzato da periodi siccitosi  [5]; le 'cupole' di calore e siccità dovute alla crisi climatica, che compromettono i processi di crescita e inducono, anche attraverso l'innesco di fatti patologici, fenomeni di mortalità arborea [6]. 

Qui di seguito, nel fotoracconto, una breve storia e descrizione di due belle foreste planiziarie relitte: il Bosco Pantano di Policoro, in provincia di Matera, e il Bosco Fontana, in provincia di Mantova.

Un'immagine da drone del Bosco Pantano di Policoro, alle foce del fiume Sinni (provincia di Matera, Basilicata, v. mappa). Si tratta di un importante residuo di bosco meso-igrofilo planiziario, oggi 'Riserva Naturale Orientata' della Regione Basilicata, affidata in gestione alla Provincia di Matera. La riserva, istituita nel 1999, include l'oasi del WWF 'Policoro Herakleia' e il sito di interesse comunitario (SIC) 'Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni' della Rete Natura 2000.La specie arborea che più caratterizza il bosco è il frassino ossifillo (Fraxinus angustifoliae Vahl.), con la carice nello strato erbaceo, da cui l'associazione vegetale Carici-Fraxinetum angustifoliae) [7, 8]. Il frassino si mescola a ontano nero e pioppo bianco nello strato arboreo superiore, mentre l'olmo campestre lo si ritrova prevalentemente nel piano inferiore. Nella foresta si trova una piccola quanto preziosa popolazione relitta, a rischio di estinzione, di farnia (Quercus robur L.), inserita tra le Unità di Conservazione Genetica forestali nel quadro del programma europeo EUFGIS. Nell'ambito del progetto 'L'ultima foresta incantata' la popolazione di farnia è oggetto di ricerche genetiche e di interventi di ridiffusione; questi ultimi si sono avviati con la messa a dimora di piantine prodotte da seme raccolto in loco, da piante individuate come autoctone attraverso l'impiego di marcatori genetici. (foto di Maria Castellaneta).

Il bosco Pantano di Policoro

Alla foce del fiume Sinni, in provincia di Matera, il Bosco Pantano di Policoro (dove il nome Pantano fa riferimento all'ambiente in parte di palude) ci racconta una storia interessante. Il bosco poté conservarsi a lungo in quanto area riservata, fin dal tempo dei Normanni, alle attività di caccia dei sovrani; e poi sopravvisse, abbastanza inalterato, fino alla metà del secolo scorso, grazie al disinteresse per le produzioni agricole e forestali da parte dei grandi feudatari/latifondisti che via via si succedettero nella proprietà. L'uso venatorio del territorio veniva privilegiato rispetto al pascolo, alla raccolta del legname e alla coltivazione, e questo favorì la conservazione del bosco. 

La situazione cambiò drasticamente nell'ultimo dopoguerra, con l'avvio dei grandi progetti di bonifica e di riforma fondiaria dell'area metapontina [9]. Nei primi anni cinquanta, la Societa Industrie Boschive ed Affini (S.I.B.A.) acquistò dall'allora proprietario del 'feudo' di Policoro (il barone Giulio Berlingieri) il diritto di taglio del bosco (in termini tecnici: acquistò il soprassuolo boschivo 'in piedi'). Nel 1956 iniziò (tra l'entusiasmo dei contadini, che plaudivano alla prospettiva di mettere a coltura luoghi considerati insani e inutilmente selvaggi) il taglio raso con asportazione della ceppaia (dicioccamento). Degli originari 1800 ettari di bosco, ne sopravvissero 550, di cui solo 200 come bosco ad alto fusto. In dieci anni di tagli rasi, dal bosco furono ricavati circa 500 mila metri cubi di legname, potendosi così stimare un'originaria dotazione di biomassa intorno ai 350 metri cubi per ettaro. Il legname (per l'80% costituito da frassini e olmi) venne venduto per differenti scopi: come legname per imbarcazioni, per la produzione di mobili e per le modanature lignee (soprattutto il frassino) nel settore automobilistico, attraverso contratti con la FIAT. Solo le partite di minor qualità vennero destinate alla produzione di traversine ferroviarie [10, 11, 12, 13].

Il barone Giulio, appassionato cacciatore, fu l'ultimo proprietario del 'feudo' di Policoro. Scomparso nel 1969, all'inizio degli anni '80 i suoi discendenti decisero di vendere le quote ricevute in eredità. In questo modo si rischiavano ulteriori distruzioni del bosco. Iniziarono così a levarsi preoccupazioni e proposte per la conservazione della foresta [14]. Nel 1980 la Regione Basilicata sottopose il Bosco Pantano a un primo vincolo (floro-faunistico) e nel 1987 fu avanzata la proposta di istituire una riserva regionale orientata. Dopo un iter faticoso, la riserva fu finalizzata nel 1999; da qualche anno è stata dotata di un adeguato programma di gestione [12].

Dall'atlante stampato presso Antonio Zatta a Venezia nel 1786. A sinistra, visione d'insieme del golfo di Taranto. A destra, dettaglio della zona compresa fra il fiume Sinno (oggi Sinni) e Acri (oggi Agri) con ben visibile la macchia corrispondente al Bosco Pantano di Policoro. Ben visibile anche l'ex lago dell'Olmo e il tratto del tratturo che portava a Melfi, costeggiando il Basento, collegandosi quindi al Tratturo Regio (o Magno) verso Foggia e L'Aquila (ex archivio di Marco Borghetti).

A sinistra, la grande farnia del Bosco Pantano (foto di Maria Castellaneta); a destra, esemplare di frassino ossifillo, la specie arborea che più caratterizza il Bosco Pantano (foto di Marco Borghetti).

Bosco Pantano, primi decenni del novecento. Varie scene di caccia con protagonista l'ultimo proprietario del 'feudo' di Policoro, il barone Giulio Berlingieri: ripreso, nella foto poco sopra, 'di gran prede onusto'. Appartenente a una nobile casata napoletana, di antica origine provenzale,  il barone (1873-1969) acquisì il feudo nel 1893. Nella passione venatoria, il barone era affiancato dalla seconda moglie, donna Marta Ugoletti, nella foto a fianco.

Queste foto storiche provengono dall'archivio del sig. Cosimo Stigliano (responsabile dell'associazione culturale Rotunda Maris) e ci sono pervenute attraverso Danilo Travascia. 

Nell'ambito del progetto 'L'ultima foresta incantata' la popolazione relitta di farnia del Bosco Pantano è oggetto di ricerche genetiche e di interventi di ridiffusione. Dopo aver individuato le farnie autoctone attraverso l'impiego di marcatori genetici, ne viene raccolto il seme, da cui in vivaio si ottengono le piantine, immagine a sinistra; queste vengono poi messe a dimora nel bosco, in ubicazioni opportunamente scelte e con adeguate protezioni per preservarle dalla predazione della fauna selvatica, immagine a destra (foto di Maria Castellaneta)

Nel Bosco Pantano, non utilizzato da diversi decenni, si sta accumulando molta necromassa ed è in atto un'interessante dinamica naturale (foto di Marco Borghetti, maggio 2022).

Bosco Fontana

Isolata all'interno di un contesto fortemente antropizzato, la foresta di pianura 'Bosco Fontana' (il nome è dovuto alla presenza di una risorgiva, altrimenti detta 'fontana') situata pochi chilometri a Nord di Mantova (v. la mappa sotto) è oggi una riserva naturale biogenetica e un'area di speciale conservazione nel quadro della rete Natura 2000. La riserva è dotata sia di un piano di gestione [15] che di un piano di prevenzione contro gli incendi boschivi; entrambi questi documenti sono ricchi di accurate ricostruzione storiche e descrizioni ecologico-ambientali.

A lungo tenuta di campagna per la caccia e lo svago dei Gonzaga, signori del ducato di Mantova per circa 400 anni a partire dal XIV secolo, si salvò per questo motivo dal dissodamento agricolo che via via interessò, a danno del bosco, tutto il circostante territorio. Nel 1707 i Gonzaga lasciarono Mantova nelle mani degli austriaci che, dopo un periodo di abbandono, usarono la foresta per l'acquartieramento delle loro truppe e come deposito di munizioni. Dopo l'unità d'Italia, Bosco Fontana entrò a far parte dell'amministrazione forestale statale. Durante i vari conflitti la foresta fu spesso utilizzata per il rifornimento di legname agli eserciti. Si riporta, come caso esemplificativo, il verbale di collaudo delle utilizzazioni effettuate a Bosco Fontana nelle ultime fasi del I conflitto mondiale e nei mesi immediatamente successivi [16]: il verbale attesta che la scelta delle piante e il taglio furono fatti, a cura dell'amministrazione militare, con 'sani criteri di economia forestale' e a regola d'arte; il valore della legna da ardere e da lavoro ricavati con le utilizzazioni effettuate (nel periodo dicembre 1917 - febbraio 2019) ammonterebbe, applicando le opportune rivalutazioni monetarie, rispettivamente a 540 mila e 812 mila euro del 2022.

A partire dall'ultimo dopoguerra il bosco non fu più utilizzato. Ma ancora rivela, nella sua struttura, i segni dell'applicazione del governo a ceduo composto, frequente nella gestione dei querco-carpineti planiziari. Il profilo verticale della foresta si caratterizza per la presenza di due strati principali: uno dominante, costituito da piante di farnia che raggiungono i 25-30 m di altezza, con presenza di pioppo bianco (Populus alba L.) sovrastante un piano di carpino bianco, che non supera i 20 m. Ricco il sottobosco, con presenza di nocciolo, corniolo, sambuco, viburno, ligustro, fusaggine, biancospino, pungitopo, ecc. [17, 18].

Il piano di gestione attualmente in vigore è orientato al raggiungimento dello stadio di foresta matura (old-growth forest), con particolare attenzione ai processi di rinnovazione naturale, all'incremento della dotazione in necromassa, alla conservazione e promozione della biodiversità, specifica, strutturale e funzionale[16].

L'ingresso di Bosco Fontana, a poca distanza da Mantova (v. mappa sottostante), lembo relitto e isolato di foresta planiziaria all'interno di un contesto fortemente antropizzato (foto di Marco Borghetti)

Inizi anni '30: il dr. Angelo Borghetti, amministratore delle Foreste Demaniali di Brescia, Mantova, Vicenza, Verona e Trento, ripreso a lato di uno dei viali rettilinei che suddividono geometricamente Bosco Fontana: disegnati e realizzati dagli austriaci verso la metà del settecento come vie di esbosco (foto ex archivio di Marco Borghetti).


Fin dagli anni '20, quando era ispettore capo a Brescia, Angelo Borghetti si prese cura del Bosco Fontana e fu autore di un lavoro (la 'Relazione Borghetti'), che costituisce il primo documento in cui compare una forma di monitoraggio numerico della foresta, con i dati di alcuni transetti strutturali [18]. Aiutò poi l'amico Caro Massalongo in un censimento delle piante fanerogame e crittogame vascolari della foresta. Quando, nel 1926, su iniziativa di Italo Balbo fu istituita la Milizia Nazionale Fascista, che sostituì il Corpo Reale delle Foreste, Angelo Borghetti rifiutò di entrarvi, ma chiese di rimanere nella nuova Amministrazione forestale come semplice funzionario civile. Per un anno, dal 1928 al 1929, rimase in attesa della decisione del Ministero, che alfine lo nominò amministratore del complesso di Foreste Demaniali di Brescia, Mantova, Vicenza, Verona e Trento, estese per circa 6000 ettari. In questo ruolo rimase dal 1929 al 1932, dopo di ché fu emarginato in un ruolo secondario non ben definito. [19, 20]. Sulle difficoltà vissute da Angelo Borghetti dopo l'avvento del fascismo v. [21].

In una immagine dei primi anni '30 (vetture d'epoca visibili sullo sfondo), la palazzina edificata per volere di Vincenzo I Gonzaga, verso la fine del XVI secolo, al centro di Bosco Fontana, e usata come casino di caccia. La 'Palazzina gonzaghesca'  si presenta come una sorta di castello, con quattro torrette angolari e un’ampia loggia centrale affrescata con scene di caccia. Al piano terra si trovano sale di accoglienza per gli ospiti, con decorazioni e affreschi (foto di Angelo Borghetti, ex archivio di Marco Borghetti). 

Angelo Borghetti, in collaborazione con la Sovrintendenza alle Arti, si diede molto da fare per il restauro della Palazzina, che allora era in parte occupata dall'esercito con un deposito di munizioni. Fra l'altro scoprì, all'interno della storica dimora, una piccola cappellina entro la quale pare che il giovane (San) Luigi Gonzaga si raccogliesse nella preghiera. Su iniziativa di Borghetti e della Sovrintenza la cappellina fu quindi  restaurata e restituita al culto [22].

Immagini di Bosco Fontana agli inizi degli anni '30 del secolo scorso, quando la foresta era governata a ceduo composto. I viali rettilinei non esistevano ai tempi dei Gonzaga: furono progettati e realizzati nel settecento dall' ing. Besagni su indicazione del governo austriaco, per essere usati come vie di esbosco (foto di Angelo Borghetti, ex archivio di Marco Borghetti).

I viali rettilinei come si presentano oggi (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).

Lo stato della foresta in base al piano di gestione attualmente in vigore: evoluzione naturale verso il  raggiungimento dello stadio di foresta matura (old-growth forest), con incremento della dotazione in necromassa, e promozione della biodiversità, specifica, strutturale e funzionale (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).

La palazzina, e un particolare del portico (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).

Farnia (a sinistra) e pioppo bianco (a destra), due specie caratteristiche di Bosco Fontana (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).

A sinistra, una delle risorgive (fontanili) da cui prende nome Bosco Fontana; a destra, il masso iscritto che ricorda il taglio delle querce (v. il testo) fatto per necessità belliche durante la prima guerra mondiale "invano alle querce percossero i venti / invano il nemico sul Piave tuonò / fur ponti le querce l'Italia passò"(foto di Marco Borghetti, giugno 2022).

Bibliografia

[1] Bertolani Marchetti D. (1980). Alla ricerca del passato. In 'Flora e vegetazione dell'Emilia Romagna' (a cura di C. Ferrari). Regione Emilia-Romagna, Grafiche Zanini, Bologna, pp. 139-162.

[2] Stella J. C., Bendix J. (2019). Multiple stressors in riparian ecosystems. In: Multiple Stressors in River Ecosystems, eds. S. Sabater, A. Elosegi, and R. Ludwig (Amsterdam: Elsevier): 81-110. 

[3] Skiadaresis G. et al. (2019). Groundwater extraction in floodplain forests reduces radial growth and increases summer drought sensitivity of pedunculate oak trees (Quercus robur L.). Frontiers in Forests and Global Change 2: 267. 

[4] Šenfeldr M. et al. (2021). Species-specific effects of groundwater level alteration on climate Sensitivity of floodplain trees. Forests 12: 1178.

[5] Rohde M.M. et al. (2021). Groundwater dependence of riparian woodlands and the disrupting effect of anthropogenically altered streamflow. Proc. Nat. Acad. Sci. USA 118: e2026453118.

[6] Colangelo M. et al. (2018). Drought Decreases Growth and Increases Mortality of Coexisting Native and Introduced Tree Species in a Temperate Floodplain Forest" Forests 9 (4): 205.

[7] Pedrotti F. (1980). Foreste ripariali lungo la costa adriatica dell'Italia. Colloques phytosociologiques IX, Les foret alluviales, Strasbourg.

[8] Colacino C. et al. (1992). Aspetti della vegetazione forestale del Bosco di Policoro (MT). Giorn. Bot. Ital. 126 (2): 445.

[9] Cesareo E. (2018). La riforma fondiaria e le modificazioni territoriali attraverso le fonti visive: il caso Metapontino. In 'Delli Aspetti de Paesi. Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio. Costruzione, descrizione, identità storica, Tomo I'  (a cura di A. Berrino, A. Buccaro). CIRICE, Università di Napoli Federico II, pp. 795-804.

[10] De Capua E. L. (1995). Il bosco di Policoro: vicende storiche e caratteri vegetazionali. Annali dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali 44: 183-233.

[11] Buccolo N. (1989). Policoro antico e moderno. Grafica Sud, Policoro, Matera. 

[12] De Capua E. L. (2015). Programma di Gestione Riserva Naturale Orientata Bosco Pantano di Policoro. Regione Basilicata, Provincia di Matera.

[13] Travascia D. (2020). Valutazione dei fattori di vulnerabilità della riserva naturale Bosco Pantano di Policoro:  l'approccio dinamico SWOT – APH. Tesi di Laurea Magistrale in Scienze Forestali e Ambientali, Università della Basilicata. 

[14] Giannini R. (1981). Sulla conservazione del Bosco di Policoro. Monti e Boschi n. 5.

[15] Campanaro A. et al.  (eds.) (2007). Piano di gestione della Riserva Naturale Statale e Sito Natura 2000 “Bosco Fontana”. Quaderni Conservazione Habitat, 4. Cierre edizioni, Verona, 220 pp.

[16] Borghetti A. (1919) Verbale del collaudo delle utilizzazioni del Bosco Fontana. Documento ex archivio di Marco Borghetti.

[17] Mason F. (2002). Dinamica di una foresta della Pianura Padana. Bosco della Fontana. Primo contributo, monitoraggio 1995. Rapporti scientifici 1. Centro Nazionale Biodiversità Forestale Verona - Bosco della Fontana, Arcari Editore, Mantova, 208 pp.

[18] Gianelle D. et al. (2007). Canopy analysis and dynamics of a floodplain forest. Rapporti scientifici 3. Centro Nazionale per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale - Bosco della Fontana. Cierre Grafica Editore, Verona, 96 pp.

[19] Colombo P.A., Foradori V. (2010). Angelo Borghetti, un grande forestale del XX secolo. Silvae VI (13): 221-236.

[20] Senatore Gondola V. (a cura di) (2007). Atti del Convegno 'Angelo Borghetti, un forestale del XX secolo'. Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, Grafiche Fiorini, Verona, pp. 52.

[21] Dean G. (1982). Scritti e documenti della Resistenza veronese. Prima edizioni, Verona, pp. 177-178.

[22] Vecchio D. (2012). Documenti per la storia della Palazzina Gonzaghesca. In 'Soprintendenza

per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Brescia, Cremona e Mantova -Bollettino 2008/2009 (a cura di L. Rinaldi e D. Vecchio)'. Realizzazione editoriale: Grafo | gestione Igb GroupStampa, ISBN: 9788873858767, pp. 123-136.