Un esemplare di agrifoglio (Ilex aquifolium L. ), nel piano inferiore del bosco misto faggio-abete bianco della Riserva di Bosco Rubbio, Francavilla in Sinni, Basilicata. Diffuso nella parte occidentale del continente europeo, dal Nordafrica alla Norvegia meridionale, con decisa gravitazione atlantica, è considerato come un relitto della flora del terziario [1, 2]. Per le sue caratteristiche ecologiche e la sua distribuzione geografica,  l'agrifoglio viene considerato come un'utile specie modello per studiare gli effetti del cambiamento climatico sulle foreste temperato-mediterranee [3, 4] (foto di Marco Borghetti). Scorrere per la fotostoria.

A sinistra: un grande esemplare di tasso (Taxus baccata L.) nella riserva demaniale di Foresta Umbra, sul Gargano (Provincia di Foggia) (foto di Nicola Moretti, marzo 2022); a destra, un tasso con gli amenti maschili; il tasso è specie per lo più dioica, cioè con organi riproduttivi maschili e femminili su individui separati (foto di Marco Borghetti).

Specie arborea magnifica e longeva (ne sono stati trovati esemplari millenari), è  conosciuta con il nome inquietante di 'albero della morte', in quanto i tessuti della pianta contengono degli alcaloidi tossici (la tassina) ad effetto paralizzante. Ad esclusione dell'arillo: struttura carnosa, derivante dallo sporofillo femminile, che avvolge il seme, rosso a maturità, molto appetito dagli uccelli. Nel bacino del Mediterraneo, la storia del tasso è  intrecciata a quella dell'uomo. Diffuso un tempo nell'orizzonte delle querce è andato incontro a una progressiva rarefazione a partire dal neolitico. Albero dal profondo significato simbolico, fornisce un legno compatto, di ottima durabilità, a tessitura molto fine. È stato utilizzato per molti usi diversi, fin dall'antichità, come testimoniato dai numerosi reperti dei siti archeologici [5] 

Un altro bell'esemplare di tasso, con la tipica corteccia bruno-rossastra (Boschi di Carrega, Parma) (foto di Marco Borghetti).

Faggete dell'Appennino: atavismi tropicali, cambiamenti climatici, selvicoltura in divenire

Fine botanico e insigne selvicoltore, Alberto Hofmann ci ha consegnato un inquadramento mirabilmente chiaro e approfondito, sul piano ecologico e colturale, delle faggete del nostro paese [6]. Ben individuate, nella sua opera, sono le faggete dell'Appennino centro-meridionale: quelle che osserviamo, più o meno, a partire dalla Toscana procedendo verso Sud; e che poi assumono pregnanti particolarità, sul piano della storia colturale, della struttura e della flora di accompagnamento, soprattutto lungo il versante tirrenico dell'Appennino, dall'Abruzzo in giù.

Si tratta, alle quote intermedie della fascia montana, delle faggete termofile ad agrifoglio e anemone appenninica, diffuse fra gli 800 e i 1400-1500 m di quota, in cui la specie più caratteristica, nel piano inferiore della foresta, è rappresentata dall'agrifoglio (Ilex aquifolium L.). Tanto che a lungo l'associazione vegetale è stata indicata dai botanici con il termine di Aquifolio-Fagetum [7]; gli specialisti delle associazioni vegetali hanno poi introdotto ulteriori raffinati 'distinguo' tassonomici, che qui non approfondiamo. Ci limitiamo a ricordare che la Direttiva UE-Habitat ricomprende queste faggete nell'Habitat 9210 'Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex', in cui oltre a faggio e agrifoglio, alcune delle specie caratteristiche sono: fra quelle arboree Taxus baccata e Quercus cerrris, fra quelle erbacee e arbustive Aremonia agrimonioides, Anemone apennina, Daphne laureola, Euphorbia amygdaloides, Rosa arvensis, Crataegus oxyacantha, Ruscus aculeatus, Alium sp. ecc., con elevata variabilità in funzione delle caratteristiche pedo-climatiche. Si tratta di una formazione che ha il suo optimum in stazioni con clima d'impronta marittima e con frequenti nebbie, come si verifica lungo i versanti appenninici che guardano a occidente, esposti alle correnti umide provenienti dal mar Tirreno.

Gli atavismi tropicali, di cui si scrive nel titolo, fanno soprattuto riferimento alle specie che bene caratterizzano, con la loro presenza, la faggeta montana termofila, vale a dire l'agrifoglio (con una presenza costante, spesso a gruppi, che si estende anche alle cerrete mesofile) e il tasso (sporadico invece), considerati entrambi come relitti della flora del periodo terziario [1, 2, 8]

Per inquadrare la faccenda, è necessario un passo indietro, un po' lungo invero. Poco meno di sei milioni di anni fa, verso la fine del periodo terziario (iniziato 65 milioni e terminato meno di due milioni di anni fa), si completò un grande evento geologico: la chiusura, dovuta probabilmente a un graduale sollevamento tettonico, dello stretto di Gibilterra. Le cause di questo evento sono tuttora dibattute dai geologi, ma ci sono evidenze convincenti sul fatto che questo sollevamento determinò la separazione dell’oceano Atlantico dal mar Mediterraneo. Con la conseguenza che quest'ultimo in buona parte evaporò, andando così incontro a una fase di forte ritiro e disseccamento. Successivamente (intorno a 5 milioni e mezzo di anni fa) il canale di Gibilterra si ripristinò e il bacino del Mediterraneo si riempì nuovamente. Da allora, il Mediterraneo conservò livelli di salinità assai superiori a quelli dell’oceano Atlantico; questo periodo di sconvolgimento geologico e di forte cambiamento nelle caratteristiche del Mediterraneo va sotto il nome di ‘crisi di salinità del Messiniano’ [9].

Con la crisi del Messiniano ebbe sostanzialmente fine la fase del clima caldo-umido, d’impronta tropicale, che aveva dominato per buona parte del terziario nel bacino del Mediterraneo. Il passaggio verso un clima a forte stagionalità (quello che oggi definiamo clima mediterraneo), non solo per le temperature ma anche per la presenza di una fase estiva marcatamente secca, si definì poi durante il Pliocene, 3-3.5 milioni di anni fa [10].

Una delle conseguenze di questi antichi cambiamenti climatici fu il passaggio da una vegetazione dominata da specie con foglie dalla consistenza tenera e dalla cuticola sottile (le laurifille), a specie con foglie rigide con una cuticola spessa (le sclerofille): quelle che oggi costituiscono la vegetazione della macchia mediterranea. Alcune specie (come il tasso, l'agrifoglio, il pungitopo, ecc.) resistono oggi nell’ambiente mediterraneo-temperato, laddove il microclima è adeguato, come presenze relittuali di una vegetazione che si era evoluta nel clima caldo-umido del terziario. Anche più di recente, peraltro, durante il post-glaciale, cambiamenti del clima verso condizioni di maggiore aridità hanno imposto la selezione di specie dalla cuticola spessa al posto di quelle con cuticola sottile. E’ documentato bene, dalle analisi paleobotaniche fatte sui pollini, quanto accaduto nell’isola di Creta dove, 8-9 mila anni fa le querce decidue, a cuticola fogliare fine, furono sostituite dalla sclerofille, a cuticola spessa. Oppure nelle isole Baleari e in Sicilia, dove 4-4.5 mila anni fa, nell’Olocene medio, l’accentuarsi dell’aridità determinò la sostituzione di specie mesofile (quelle adattate a condizioni di buona umidità del suolo), come il nocciolo, l’ontano e il faggio, con sclerofille ben adattate a sopportare lunghi periodi di aridità [11, 12].

Si tratta, come si intuisce, di cambiamenti climatici avvenuti nell’arco di lunghissimi periodi di tempo. Non paragonabili quindi, in termini di velocità (è bene rimarcarlo) a quelli che oggi sono provocati dal cambiamento climatico antropogenico. Ma anche oggi, come in passato,  le caratteristiche della cuticola fogliare potrebbero rappresentare un aspetto importante nella risposta della vegetazione alle nuove condizioni climatiche.


[1] Peterken G.F. and Lloyd P.S. (1967). Biological flora of the British Isles, Ilex aquifolium L. Journal of  Ecology 55: 841–858.

[2] Pignatti S. (1978). Evolutionary trends in Mediterranean Flora and Vegetation. Vegetatio 37: 175-185.

[3] Rita A. et al. (2015). Functional adjustments of xylem anatomy to climatic variability: insights from long-term Ilex aquifolium tree-ring series. Tree Physiology 35 (8): 817- 828.

[4] Berger S. (2007). Temperature influence on photosynthetic activity of Ilex aquifolium L. - Photosynthetic advantage of climate change? Verh Ges Ökol 37: 356.

[5] Uzquiano P. (2015). All about yew: on the trail of Taxus baccata in southwest Europe by means of integrated palaeobotanical and archaeobotanical studies. Veget Hist Archaeobot 24: 229-247. 

[6] Hofmann A. (1991). Il faggio e le faggete in Italia. Ministero dell’Agricoltura e delle foreste, Corpo Forestale dello Stato. Collana Verde n. 81.

[7] Gentile S. (1969). Sui faggeti dell’Italia meridionale. Atti Ist. Bot. Lab. Critt. Univ. Pavia 6 (5): 207-306.

[8] Linares J.C. (2013). Shifting limiting factors for population dynamics and conservation status of the endangered English yew (Taxus baccata L., Taxaceae). Forest Ecology and Management 291: 119-127.

[9] Krijgsman W. et al. (2018). The Gibraltar Corridor: Watergate of the Messinian Salinity Crisis. Marine Geology 403: 238-246.

[10] Suc  JP. (1984). Origin and evolution of the Mediterranean vegetation and climate in Europe. Nature 307: 429–432.

[11] Pérez-Obiol R. and Sadori L. (2007). Similarities and dissimilarities, synchronisms and diachronisms in the Holocene vegetation history of the Balearic Islands and Sicily. Veget Hist Archaeobot 16: 259–265

[12] Roberts N. et al. (2011). Climatic, vegetation and cultural change in the eastern Mediterranean during the mid-Holocene environmental transition. The Holocene 21 (1): 147-162.

Qui siamo fra cerreta mesofila e faggeta termofila, in Basilicata, con presenza di nuclei di agrifoglio nel sottobosco. La presenza di agrifoglio indica spesso condizioni favorevoli alla rinnovazione di abete bianco (foto a destra), laddove la specie sia presente (foto di Marco Borghetti).

Nella maggior parte dei casi, come nell'immagine, l'agrifoglio si diffonde con esemplari di modeste dimensioni nel piano inferiore della faggeta, formando eventualmente addensamenti policormici (a molti fusti) di 2-3 m di altezza. In rari casi, come nel sito Natura 2000 'Timpa delle Murge', in Basilicata (Comune di Terranova di Pollino, Potenza) si sviluppano dei veri e propri boschetti monospecifici riconosciuti come specifico habitat nella rete Natura 2000  (Habitat 9380: foreste di Ilex aquifolium) (foto di Marco Borghetti).

La faggeta di San Fele (provincia di Potenza), con il tappeto fiorito di aglio selvatico (Alium ursinum L.), specie caratteristica nel sottobosco delle faggete meridionali. Si tratta di un popolamento coetaneiforme, tendenzialmente monoplano, in cui la prospettiva colturale è quella del trattamento a tagli successivi a gruppi  (foto di Anna Rita Rivelli).

Le caratteristiche delle faggete dell'Appennino variano a seconda del tipo di selvicoltura che è stata applicata, a sua volta differente a seconda del tipo di proprietà. Soprattutto nella proprietà pubblica, l’applicazione di forme di trattamento riconducibili alla selvicoltura classica, mutuata dagli schemi centro-europei (tagli successivi uniformi), ha portato spesso alla costituzione di popolamenti a struttura semplificata, con coperture di tipo monoplano. In condizioni ambientali stabili, nell'ottimo climatico della specie (come in certe località dell'Irpinia in provincia di Avellino), si tratta di schemi colturali in grado di conseguire buoni od ottimi risultati in termini di produzione legnosa e di rinnovazione naturale del bosco. 

Già a partire dagli anni '50 sono state fatte proposte colturali alternative a questi schemi classici di trattamento. Antesignano su questi temi è stato Lucio Susmel, docente di ecologia forestale nell'Università di Padova, che in uno dei suoi lavori più noti, quello condotto sulle faggete di Corleto Monforte, sui monti Alburni, in provincia di Salerno, propone di favorire nella faggeta una struttura diversificata attraverso trattamenti di rinnovazione su piccole superfici [13, 14]. Recenti lavori sulle faggete meridionale [15] concordano, di fatto, sugli obbiettivi della disomogeneità e della diversificazione strutturale e mettono in luce come questi possano essere raggiunti attraverso la creazione di ripetute e modeste discontinuità di copertura.

C'è da rimarcare come: in taluni casi, per vari motivi, il trattamento a tagli successivi classico è stato attuato in modo incompleto, non provvedendo, ad esempio, al taglio di sgombero, ovvero alla rimozione degli alberi del vecchio ciclo dopo l'affermazione della rinnovazione naturale. Questo fatto può innescare, seppur non intenzionalmente, dei processi che conducono a strutture via via più complesse; il trattamento a tagli successivi viene oggi proposto, nella maggior parte dei casi, non come taglio uniforme sull'intera particella forestale (unità territoriale di base per la gestione forestale, con estensione di 10-20 ha) ma come taglio a gruppi più o meno grandi (da 0.5 a 1.5 ha), in funzione delle caratteristiche del bosco e dell'ambiente; di frequente la struttura monostratificata della faggeta è da ricondurre alla fase 'transitoria' in cui la foresta si trova, come conseguenza di tagli di avviamento del ceduo all'alto fusto.

La maggior diversificazione della faggeta appenninica, in particolare attraverso la mescolanza con l'abete bianco, è oggi un obbiettivo importante. Anche alla luce di recenti evidenze sperimentali, condotte a scala europea, che fanno la previsioni, per la faggeta pura, di una consistente riduzione del tasso di accrescimento di qui alla fine del secolo, a causa della crisi climatica [17]. La promozione della biodiversità compositiva, strutturale e funzionale del bosco di faggio appare quindi la strada da seguire nel quadro della gestione forestale adattativa.


[13] Susmel L. (1957). Tipo colturale per le faggete meridionali. Monti e Boschi 8 (4): 161-175.

[14 ] Susmel L. (1959). Riordinamento su basi bio-ecologiche delle faggete di Corleto Monforte. Pubblicazione n. 11 della Stazione Sperimentale di Selvicoltura, Firenze.

[15] Ciancio O. et al. (2008). Struttura e trattamento in alcune faggete dell’Appennino meridionale. L’Italia Forestale e Montana 63 (6): 465-481.

[16] Marziliano P. et al. (2011).  Struttura e incrementi in boschi puri e misti di abete e faggio sull’Appennino calabrese. L’Italia Forestale e Montana 66 (1): 55-70.

[17] Martinez del Castillo E. et al. (2022). Climate-change-driven growth decline of European beech forests. Commun Biol 5, 163.

Siamo sulle Serre Calabresi (Comune di Serra San Bruno, provincia di Catanzaro), dove la mescolanza fra faggio e abete bianco dà origine a boschi misti variegati sul piano strutturale, disetaneiformi e, al contempo, con grandi potenzialità produttive [16]. Queste caratteristiche del bosco vengono mantenute, soprattutto nella proprietà privata, attraverso l'applicazione del taglio a scelta o dei tagli successivi a gruppi, con creazione di piccole radure in cui la rinnovazione, sia di abete che di faggio, si sviluppa facilmente [15]. L'ambiente, caratterizzato da una elevata umidità atmosferica, consente la presenza, nel piano inferiore, dell'agrifoglio del pungitopo, della dafne (foto di Marco Borghetti).

Piano Ruggio, Parco Nazionale del Pollino: una faggeta altimontana, in cui grosse piante sovrastano un ex-ceduo, da tempo in libera evoluzione (foto di Anna Rita Rivelli).


Al di sopra della faggeta termofila ad agrifoglio, si sviluppa la faggeta altimontana microterma, definita in termini di associazione vegetale come  Campanulo (Asyneumato) trichocalycinae - Fagetum [5, 6], per la presenza caratteristica della campanula a calice peloso. Secondo la Direttiva UE-Habitat si tratta dell'Habitat 9220 'Faggeti degli Appennini con Abies alba', in cui, oltre all'abete bianco alcune specie caratteristiche sono Sorbus aucuparia, Cardamine chelidonia, Neottia nidus-avis, Silene vulgaris, ecc.

Aspromonte (provincia di Reggio Calabria). Faggeta altimontana, prossima al limite superiore del bosco. Ad alta quota la neve al suolo rimane fin quasi all'estate: questo garantisce umidità al suolo nel periodo della ripresa della vegetazione e conserva uno strato di lettiera spesso e compresso; questi fattori favoriscono boschi densi e accrescimenti elevati anche in alta quota, nonostante la brevità del periodo vegetativo (L. Hermanin com. pers.). L'evidente curvatura basale dei fusti può essere interpretata come una risposta geotropica della pianta, forse in risposta a fenomeni di neviflusso (reptazione nivale) (foto di Anna Rita Rivelli).