Nell'estate del 2007, incendi boschivi estesi e di forte intensità colpirono il litorale del Gargano, in provincia di Foggia. In questa foto, scattata da Vittorio Leone, la pineta di pino d'Aleppo sul versante retrostante l'Arco di San Felice (Comune di Vieste) appare interamente bruciata. Scorrere per il fotoracconto.
Marco Borghetti, Nicola Moretti
Resilienza, plasticità e dinamiche delle pinete di pino d'Aleppo
Resilienza agli incendi
Il pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.) è protagonista di alcune delle più tipiche manifestazioni della vegetazione forestale mediterranea. In Italia le pinete di maggior rilievo si trovano sulla costa ionica (per la maggior parte in provincia di Taranto) e sul litorale del Gargano (in provincia di Foggia). Degne di nota sono anche le popolazioni che vegetano in Umbria nella fascia del querceto a roverella. In Liguria, lo si ritrova per lo più a piccoli nuclei e assume un portamento arbustivo quando vegeta sulle scarpate costiere. [1]. Specie esigente di luce, dal comportamento pioniero, frugale nei confronti del suolo, con notevole resistenza alla siccità, il pino d'Aleppo è dotato di efficaci meccanismi di risposta al passaggio del fuoco [2, 3, 4].
Con una serie temporale di immagini, documentiamo qui un caso di rinnovazione naturale post-incendio in pinete di pino d’Aleppo che vegetano lungo le coste del Gargano. Si tratta di un caso che testimonia la resilienza della pineta a a un disturbo presente da secoli nel bacino del Mediterraneo, ma che tende a diventare più frequente e intenso in seguito al riscaldamento climatico.
Il 24 luglio del 2007 un grande incendio devastò il litorale del Comune di Peschici (Foggia). Ci furono vittime umane, danni alle infrastrutture e buona parte della vegetazione forestale, rappresentata soprattutto dalla pineta di pino d'Aleppo, venne distrutta. In questa cronosequenza di immagini, riprese da Google Earth, viene evidenziata: la situazione poco dopo l'incendio foto in alto), quella che si osservava nel giugno del 2013 (foto in mezzo) e quella del luglio 2019 (foto in basso). E' evidente la grande distruzione causata dall'incendio, ma anche la ricostituzione della vegetazione nel corso del tempo. Qualche giorno dopo l'incendio ci fu un temporale molto violento. Lo scorrimento superficiale che seguì trascinò con sé molto del seme disperso dalle piante di pino dopo l'incendio. Per questo motivo la rinnovazione naturale si presenta spesso più fitta nelle zone di compluvio rispetto a quelle di versante e di displuvio, come visibile nelle immagini.
La pineta di pino d'Aleppo nella zona della baia dell'Arco di San Felice, nel Comune di Vieste. Nella foto in alto la pineta com'era prima dell'incendio dell'estate del 2007 (foto di Roberto Del Favero), in quella di mezzo come si presentava qualche giorno dopo l'incendio (foto di Vittorio Leone), in quella inferiore come si presenta a fine autunno 2022: ricostituita grazie alla rinnovazione naturale post-incendio (foto di Nicola Moretti).
A sinistra: sempre nella baia di San Felice (Comune di Vieste) la pineta interamente bruciata nell'estate del 2007 (foto di Vittorio Leone); a destra: nella stessa zona, la situazione come si presenta a fine autunno 2022 (foto di Nicola Moretti).
In vicinanza della spiaggia di Calalunga (Comune di Peschici), il versante con la pineta distrutta dall'incendio (foto di Vittorio Leone, estate 2007) e il versante ricoperto dal fitto popolamento di pino d'Aleppo derivante da rinnovazione naturale post-incendio (foto di Nicola Moretti, fine autunno 2022).
Spiaggia di Calalunga (Comune di Peschici): a sinistra (foto fornita da Orazio La Marca) l'insenatura ripresa dall'aereo poco dopo l'incendio del 24 luglio 2007 (è ancora evidente, in mare, la cenere scura); nell'immagine in mezzo e in quella a sinistra (foto di Nicola Moretti, fine autunno 2022) il versante dell'insenatura ricoperto dal popolamento di pino d'Aleppo derivante dalla rinnovazione naturale post-incendio.
La rinnovazione post-incendio ha dato origine a spessine molto dense: da 3 a 5 mila piante per ettaro, con notevole variabilità diametrica. Le piante più grosse hanno diametri di 8-10 cm e altezze intorno ai 5 m.
Plasticità adattativa
Le specie forestali possono rispondere in diversi modi al cambiamento climatico. Una possibilità, che richiede tempi lunghi, è quella della selezione genetica: nel corso delle generazioni, all'interno delle popolazioni si selezionano individui con caratteristiche funzionali e strutturali compatibili con il nuovo ambiente [5]. In confronto ad altre specie forestali, il pino d’Aleppo pare caratterizzato da una variabilità non elevata all'interno delle popolazioni. Questa condizione sarebbe la conseguenza di fenomeni di deriva genetica avvenuti durante l’ultima glaciazione. E anche di una espansione post-glaciale partita da poche aree rifugio ubicate nella parte meridionale della penisola balcanica [6].
Un altro modo di rispondere al cambiamento climatico è quello della migrazione. Vale a dire di una ‘fuga’ delle popolazioni, generazione dopo generazione, da zone che stanno diventando inospitali verso zone con un clima ancora favorevole. Anche questa è una risposta che richiede molto tempo se avviene in modo esclusivamente naturale. Mentre può essere più rapida se viene favorita dall’uomo attraverso le tecniche della migrazione assistita [7].
Vi è poi la risposta che consiste nell'acclimatazione fisiologica e strutturale. Questa è resa possibili dalla plasticità fenotipica delle specie arboree. Si tratta di una risposta più rapida in quanto avviene a scala di individuo: gli alberi non ‘fuggono’ ma rimangono sul posto (in situ) modificando la loro struttura e il loro funzionamento per adattarsi alle nuove condizioni climatiche [8]. Nel caso specifico, il pino d’Aleppo mostra la capacità di modificare la struttura del sistema di trasporto idraulico per far fronte a condizioni di stress idrico e di modulare nel corso della stagione la resistenza dello xilema alla cavitazione. E anche quella di modificare l’assimilazione fotosintetica e la traspirazione per adattarle a condizioni climatiche variabili e molto contrastanti. In questo modo vengono garantiti sia l’uso efficace che la conservazione dell’acqua [9, 10, 16]. Degno di nota il fatto che, nella risposta alla siccità e alle alte temperature, la plasticità fisiologica della specie appare dominante rispetto agli effetti della variabilità ecotipica [11].
Dinamiche future (con cenni alla gestione adattativa)
Dalle conoscenze disponibili e da quanto si osserva in natura, quali dinamiche si possono immaginare per il futuro delle nostre pinete di pino d’Aleppo? E quali possono essere le conseguenze sul piano gestionale? Avanziamo qualche ipotesi:
come effetto del cambiamento climatico c'è da aspettarsi un aumento della capacità competitiva delle specie termo-mediterranee della macchia bassa e della gariga (rosmarino, cisti, ginepri, ecc.), rispetto a quelle meno xero-tolleranti della macchia-foresta (mirto, leccio, corbezzolo, ecc.). Si tratta di specie del sottobosco a basso potere di copertura che ostacolano meno la rinnovazione naturale del pino. Per questo motivo, la successione della pineta di pino d'Aleppo verso la macchia sempreverde dominata dal leccio potrebbe risultare rallentata o bloccata. Da formazione pioniera con caratteri di transitorietà, la pineta potrebbe assumere un assetto più stabile in consociazione con le specie di macchia più xero-tolleranti. Questo fatto richiederebbe una rivalutazione delle pinete nell'ambito delle unità di gestione della pianificazione forestale (sia a scala aziendale che a scala territoriale) e una ridefinizione degli indirizzi colturali;
il riscaldamento del clima esporrà a crescenti condizioni di siccità la fascia di vegetazione forestale sopra-mediterranee e sub-montana: i querceti specialmente potrebbero trovarsi in condizioni di difficoltà, con possibili regressioni verso boschi lacunosi o fisionomie miste arboreo-arbustive. Nel passato, il pino d'Aleppo è stato frequentemente impiegato, sui versanti collinari, per il rimboschimento a scopo di protezione idrogeologica. In condizioni di ridotta capacità competitiva da parte delle latifoglie del querceto, ci potrebbe essere una diffusione del pino all'interno di querceti in fase di regressione per le crescenti ondate di siccità e calore. Si tratta di un processo che può anche essere accelerato artificialmente, nel quadro di una gestione forestale di adattamento al cambiamento climatico. La diffusione assistita del pino d’Aleppo (da attuare con i metodi della selvicoltura di precisione) nell'ambito di boschi sopra-mediterranei può rappresentare una strategia per conservare la fisionomia forestale e per contrastare i processi di degradazione del suolo. Ci sarebbe così un ampliamento, in parte naturale e in parte favorito dall'uomo, del range altitudinale del pino d'Aleppo, che potrebbe spingersi a quote più alte di quelle attuali, come già si osserva sui rilievi del nord-Africa;
nelle pinete di pino d'Aleppo, sia quelle naturali come quelle derivate da rimboschimento, dovrebbe trovare applicazione una selvicoltura di adattamento alla siccità [12] come quella di prevenzione dell'incendio. La realtà delle pinete di pino d’Aleppo è stata, in moltissimi casi, quello dell'abbandono colturale. Lo evidenziava Ezio Magini più di 70 anni fa [1] e in seguito la situazione non è di fatto cambiata. Diversi lavori mettono in evidenza l'importanza della gestione forestale per migliorare il bilancio idrico stazionale: in particolare, l'effetto positivo dei diradamenti sulla resilienza allo stress idrico della pineta e sulla sua produttività [13, 14]. Di fronte al cambiamento climatico, il tipo di pineta più stabile e con il maggior grado di resilienza al disturbo da incendio è rappresentata dalla fustaia disetanea, nella quale è sempre presente un’aliquota di piante in grado di disseminare dopo l’incendio. Sul piano colturale, si può pensare all’applicazione di tagli di rinnovazione su piccole superfici, per ottenere una fustaia disetanea a gruppi. Laddove si sviluppi una fitta rinnovazione naturale, è anche opportuno intervenire tempestivamente con gli sfollamenti. Una riduzione della competizione (per la luce soprattutto) determina infatti un’accelerazione dei processi riproduttivi e la formazione di una 'banca' del seme nella chioma. Si aumenta così la resilienza della popolazione in caso di passaggio del fuoco [15].
[1] Magini E (1954). Pinete di pino d'Aleppo. In 'Atti del Congresso Nazionale di Selvicoltura', Volume I, pp. 49-68, Tipografia Coppini, Firenze.
[2] Richardson DM (ed.) (1998). Ecology and Biogeography of Pinus. Cambridge University Press, UK.
[3] Leone V, Borghetti M, Saracino A (2000). Ecology of post-fire recovery in Pinus halepensis in southern Italy. In 'Life and Environment in the Mediterranean' (ed. Trabaud L). Advances in Ecological Sciences 3. WIT Press, Southampton, UK.
[4] Borghetti M, Cinnirella S, Magnani F, Saracino A (1998). Impact of long-term drought on xylem embolism and growth in Pinus halepensis Mill. Trees-Structure and Function 12: 187-195.
[5] Jump AS, Peñuelas J (2005) Running to stand still: Adaptation and the response of plants to rapid climate change. Ecology Letters 8: 1010-1020.
[6] Morgante M, Felice N, Vendramin GG (1998) Analysis of hypervariable chloroplast microsatellites in Pinus halepensis reveals a dramatic genetic bottleneck. In: Karp A, Issac PG, Ingram DS (eds.) Molecular tools for screening biodiversity. Springer, Dordrecht, pp 407-412.
[7] Benito-Garzón M, Fernández-Manjarrés JF (2015) Testing scenarios for assisted migration of forest trees in Europe. New Forests 46: 979-994.
[8] Magnani F, Grace J, Borghetti M (2002). Adjustment of tree structure in response to the environment under hydraulic constraints. Functional Ecology 16: 385-393.
[9] Klein T, Cohen S, Yakir D (2011). Hydraulic adjustments underlying drought resistance of Pinus halepensis. Tree Physiology 31: 637- 648.
[10] Tatarinov F, Rotenberg E, Maseyk K, Ogée J, Klein T, Yakir D (2016). Resilience to seasonal heat wave episodes in a Mediterranean pine forest. New Phytologist 210: 485-496.
[11] Baquedano FJ, Valladares F, Castillo FJ (2008). Phenotypic plasticity blurs ecotypic divergence in the response of Quercus coccifera and Pinus halepensis to water stress. European Journal of Forest research 127: 495–506.
[12] Borghetti M, Colangelo M, Ripullone F, Rita A (2021). Ondate di siccità e calore, spunti per una selvicoltura adattativa. Forest@ 18: 49-57.
[13] Ungar ED, Rotenberg E, Raz-Yaseef N, Cohen S, Yakir D, Schiller G (2013). Transpiration and annual water balance of Aleppo pine in a semiarid region: Implications for forest management. Forest Ecology and Management 298: 39–51.
[14] Manrique-Alba, Beguería S, Molina AJ, et al. (2020) Long-term thinning effects on tree growth, drought response and water use efficiency at two Aleppo pine plantations in Spain. Science of the Total Environment, Volume 728.
[15] Verkaik I, Espelta JM (2006). Post-fire regeneration thinning, cone production, serotiny and regeneration age in Pinus halepensis. Forest Ecology and Management 231: 155-163.
[16] Feng F, Wagner Y, Klein T, Hochberg U. (2023). Xylem resistance to cavitation increases during summer in Pinus halepensis. Plant, Cell & Environment, 1 -11.
Pino d'Aleppo sul promontorio di Portofino (Genova) (foto di Annemarie Bastrup-Birk, marzo 2023).
Aggiornamento luglio 2023
Nella seconda metà di luglio del 2023, un incendio ha di nuovo percorso la pineta di pino d'Aleppo nella zona dell'Arco di San Felice nel Comune di Peschici. Le foto che seguono (di Nicola Moretti) documentano l'incendio in atto e la situazione dopo lo spegnimento. La pineta era ancora in uno stadio giovanile e presumibilmente non molte piante avevano iniziato a fruttificare. La rinnovazione naturale potrebbe risultare difficoltosa.