Rinnovazione naturale di pino d'Aleppo in vicinanza di tronchi a terra (Bagni di Chiatona, Taranto) (foto: studentessa del corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali dell'Università della Basilicata, primavera 2017).
Il passaggio del fuoco nel bosco può avere conseguenze molto diverse: da una temporanea riduzione della funzionalità della foresta fino a fenomeni di sostituzione della foresta con altre forme di vegetazione. Valutare bene questi aspetti serve per fare buone scelte gestionali, ma soprattutto per evitare di fare quelle sbagliate. Nell'immagine, una pineta litoranea di pino d'Aleppo (Bagni di Chiatona, Taranto) percorsa dal fuoco (foto di una studentessa del corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali, primavera 2015). Scorrere per il commento e altre immagini.
Piante di pino d'Aleppo strinate dal passaggio del fuoco: non bisogna avere fretta di rimuoverle dopo l'incendio, Bagni di Chiatona, Taranto (foto di una studentessa del corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali, primavera 2015).
Rinnovazione post-incendio di pino d'Aleppo 'annidata' nella ramaglia morta; sopra, nel banner: in prossimità di legno morto a terra (Bagni di Chiatona, Taranto (foto di una studentessa del corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali, primavera 2015).
Passato il fuoco
L'osservazione e l'attesa
Una volta passato l'incendio, si possono realizzare diversi scenari, a seconda di come si combinano l'intensità e la durata del fuoco, le caratteristiche della vegetazione forestale, le condizioni climatiche. Il passaggio del fuoco può avere conseguenze molto diverse: da una temporanea riduzione della funzionalità della foresta fino a fenomeni di sostituzione della foresta con altre forme di vegetazione. Valutare bene questi aspetti serve per fare buone scelte gestionali, ma soprattutto per evitare di fare quelle sbagliate.
Prendiamo il caso della pineta di pino d'Aleppo, una formazione forestale diffusa nei nostri ambienti mediterranei: in questo caso dopo l'incendio è bene avere pazienza (si legga: no all'interventismo). Innanzitutto non bisogna avere fretta di portar via il materiale bruciato (gli alberi a terra, quelli ancora in piedi, strinati e moribondi), come se si volesse mascherare un misfatto: è infatti fra questo materiale che si annida la rinnovazione. Un po' di tronchi e di ramaglia bisogna lasciarli, e anche gli alberi bruciati ma rimasti in piedi.
Il pino d'Aleppo è specie ben adattata al passaggio del fuoco, nel senso che a scala di popolazione mette in atto una reazione molto efficace. Per questo motivo viene definita specie pirofita. Alla perturbazione provocata dal fuoco il pino d'Aleppo reagisce con un efficace meccanismo di rinnovazione naturale (si parla, in questo caso, di pirofitismo attivo). Nella sua chioma il pino custodisce un'imponente 'banca' del seme, ed è questo seme ad assicurare, dopo l'incendio, la rinnovazione del bosco. Molti degli strobili (abbiamo stimato almeno il 40%) rimangono infatti a lungo chiusi sull'albero e si aprono solo per effetto del calore sprigionato dall'incendio (si chiamano strobili 'serotini', nel senso che si aprono tardi). Solo a questo punto si liberano dallo strobilo decine di migliaia di semi che, aiutati dalla membrana sottile che li avvolge, volano trasportati dalle correnti convettive generate dal calore dell'incendio. Uno dei rischi per i semi dispersi dagli strobili è quello di essere predati dagli uccelli granivori che accorrono prontamente nelle aree percorse dal fuoco. Ma anche per questo aspetto sembra esserci una strategia di adattamento da parte della pineta: una buona parte dei semi prodotti sono di un colore grigio-chiaro che ne facilita il mimetismo sullo strato di cenere prodotto dall'incendio, proteggendoli dalla predazione [1, 2, 3].
E' quindi dalla germinazione di questi semi che nasceranno le piantine in grado di assicurare la rinnovazione della pineta: gli alberi possono morire, ma vengono sostituiti da una nuova generazione di piante C'è un però, tuttavia. Le condizioni sulle dune litoranee dove vegeta la pineta sono spesso molto difficili per la germinazione e le piantine che derivano dai semi che riescono a germinare (già questo è un evento raro) devono comunque fronteggiare condizioni difficili, per l'asprezza dell'ambiente e la competizione da parte delle specie erbacee e arbustive che si sviluppano dopo l'incendio (il rosmarino, i cisti). Ecco allora che i tronchi bruciati e la ramaglia rimasta possono costituire micro-ambienti favorevoli alla rinnovazione: alla loro ombra fa un po' meno caldo, si conserva un po' di umidità, c'è un po' meno competizione. Ed è proprio qui che, guardando attentamente, troviamo la rinnovazione.
Un altro aspetto che consiglia di lasciare, almeno per qualche tempo, i tronchi bruciati, è che quello legato alla biodiversità della comunità. Gli alberi morti o moribondi sono prontamente colonizzati dagli scolitidi e questo attira gli uccelli, soprattutto i picchi, che approfittano dell'esplosione delle popolazioni di larve.
La pazienza che val la pena di applicare alla pineta deve essere usata anche per molte delle macchie o delle macchie-foreste (boschi di leccio, di querce decidue della fascia sopra-mediterranea) che spesso sono percorsi dal fuoco durante l'estate. Dopo l'incendio, molti degli arbusti e degli alberi che formano la macchia conservano vitali gli apparati radicali. In poche settimane questi reagiscono al disturbo producendo dei nuovi getti (i polloni) che rappresentano la prima fase della nuova formazione forestale. Ci sono poi specie che si diffondono da seme, ad esempio i cisti. Ecco allora che dopo l'incendio è frequente che si sviluppino comunità vegetali di taglia bassa, come quelle a prevalenza di cisto, che poi si evolvono nelle macchie di corbezzolo e di erica.
Sono dei prodromi importanti: queste macchie basse hanno tutta la potenzialità di evolvere naturalmente verso il bosco di leccio o quello bosco misto di querce decidue. Basta aspettare. In questo periodo non è bene intervenire in modo precipitoso con delle nuove piantagioni; al più con tagli di succisione, ovvero con tagli effettuati al di sotto del livello del suolo per stimolare la facoltà di rigenerazione agamica della ceppaia.
Solo quando, dopo diverso tempo, si è accertata l'incapacità di recupero della comunità vegetale, si potrà pensare alla sua ricostituzione mediante la messa a dimora di piantine prodotte con seme di piante autoctone, sia di specie arbustive che arboree. Ma questo tipo di materiale nella maggior parte dei casi non è disponibile. Sarebbe bene che una parte dei fondi destinati alla lotta antincendio fosse destinata alla costituzione di vivai locali in cui si raccolgano e moltiplichino le risorse vegetali autoctone ai fini della ricostituzione del patrimonio vegetale arboreo e arbustivo, ove questa operazione fosse davvero necessaria.
La necessità di saper aspettare in questi casi deve essere spiegata alla gente, e questo è compito dei tecnici. In molti casi la gente è affezionata ai boschi che sono stati percorsi dal fuoco, li sente come suoi e desidera che siano subito ripristinati. E spinge in tal senso. Si tratta di comportamenti comprensibili. Ma va spiegato che, in molti casi, il rispetto della natura si manifesta soprattutto con il rispetto dei suoi tempi e che non c'è miglior ripristino di quello garantito dai processi naturali, che vanno assistiti e assecondati.
Uno sguardo dal satellite
Nella valutazione delle dinamiche post-incendio un aiuto arriva dai satelliti messi in orbita per il monitoraggio della superficie terrestre. Le misure fatte dai sensori satellitari permettono di stimare la ricostituzione della vegetazione basandosi sulla variazione della riflettività della radiazione solare da parte della vegetazione: una foresta ben funzionante assorbe buona parte della radiazione nel campo del rosso mentre una foresta danneggiata o distrutta dal fuoco tende a rifletterla. Man mano che la vegetazione si ricostituisce la riflessione nel rosso tende poi a diminuire. Queste variazioni permettono di definire degli indici di ricostituzione della copertura vegetale. Utilizzando i dati del satellite MODIS della NASA abbiamo fatto una valutazione, estesa a tutto il territorio europeo, delle conseguenze degli incendi avvenuti dal 2004 fino ad oggi. I risultati di questo studio indicano che: entro cinque anni dal passaggio del fuoco si ha generalmente un buon grado di ricostituzione della copertura vegetale. Questo non vuol dire che si ricostituisca subito la foresta, ma che si sviluppa una copertura vegetale con caratteristiche tali da preannunciare la sua ricostituzione; negli ultimi anni questa ricostituzione sembra procedere più lentamente, soprattutto nella regione mediterranea, forse a causa della crisi climatica; questo rallentamento non viene osservato nella regione boreale, dove l'aumento delle temperature determina un ampliamento della stagione vegetativa in grado di favorire la ricolonizzazione post-incendio [4].
[1] Leone V., Borghetti M, Saracino A. (2000) Ecology of post-fire recovery in Pinus halepensis in southern Italy. Life and Environment in Mediterranean Ecosystems, WIT Press, Southampton, UK, pp. 129-154.
[2] Saracino A., Pacella R. , Leone V., Borghetti M. (1997). Seed dispersal and changing seed characteristics in a Pinus halepensis Mill. forest after fire. Plant Ecology 130 (1): 13-19.
[3] Saracino A. et al. (2004). Seed colour and post-fire bird predation in a Mediterranean pine forest,
Acta Oecologica 26 (3): 191-196.
[4] Nolè A. et al. (2022). Biogeographic variability in wildfire severity and post-fire vegetation recovery across the European forests via remote sensing-derived spectral metrics. Science of the Total Environment, 823.
Pineta di pino d'Aleppo derivante da rimboschimento in Basilicata in zona collinare. Dopo un incendio di chioma, prime fase della ricostituzione della vegetazione, rappresentata in buona parte da riscoppi vegetativi di latifoglie. In questi casi l'incendio può favorire la rinaturalizzazione del rimboschimento da parte delle specie naturalmente presenti in zona (foto di Angelo Nolè).