Alcune agguerrite imprese, dotate di adeguata organizzazione e in grado di dispiegare la necessaria tecnologia (ferrovie portatili Decauville, locomotive a vapore, teleferiche) si accorsero, verso l'inizio del novecento,  che i remoti boschi del Pollino potevano diventare una miniera d'oro. Nell'immagine taglio e sezionatura di grandi alberi sul Pollino, prima metà del novecento (foto da archivio Ditta Palombaro). Scorrere per la fotostoria.

I vecchi boschi del Pollino

All'inizio del secolo scorso buona parte dei boschi del Pollino, grande massiccio montuoso fra Basilicata e Calabria, presenta segni limitati di manipolazione da parte dell'uomo. Delle loro caratteristiche sono  preziosa testimonianza i resoconti delle esplorazioni condotte nel 1826 dal botanico napoletano Michele Tenore [1] e le successive escursioni compiute verso la fine del secolo da altri naturalisti. Tutti questi viaggiatori riferiscono di foreste ancora fitte, selvagge, difficili da percorrere, con alberi colossali e con molte specie (aceri, tigli, tassi, frassini, ecc.) rappresentate da individui di grandi dimensioni. Non che si trattasse di foreste “vergini”, questo va detto. Diverse faggete erano tenute a ceduo per la produzione del carbone e ancor oggi non è difficile imbattersi nei resti delle 'carcare', vecchi forni a legno in muratura usati tradizionalmente per la produzione della calce. Erano comunque boschi ricchi di specie arboree, con esemplari monumentali, elevata biomassa e grandi quantità di legno morto, a struttura complessa e articolata, con processi continui di rinnovazione naturale. Per indicare boschi di questo tipo oggi si usa  l'espressione boschi vetusti.

Quando a cavallo del secolo li visitò, l'aristocratico inglese Norman Douglas [2] ebbe però ad esprimersi così: "si affretti chi abbia voglia di godersi questi paesaggi selvosi, prima che scompaiano dalla faccia della terra". Evidentemente presagiva che ci sarebbero stati dei grossi cambiamenti e che quei boschi si trovavano in pericolo. Fra XIX e XX secolo eravamo infatti nel pieno della seconda rivoluzione industriale, caratterizzata dalla disponibilità di nuove fonti di energia e innovazioni tecnologiche, grande aumento della produzione industriale, sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto. In Italia si stava procedendo alla costruzione della rete ferroviaria e ciò comportava una grande richiesta di legname per produrre le traversine necessarie per il fissaggio delle rotaie (la traversina era un parallelepipedo con sezione rettangolare di 25 x 15 cm all'incirca, per ogni km di binario occorrevano 1000 traversine, nel caso non fossero impregnate con creosoto dovevano essere sostituite ogni sette anni).

Alcune agguerrite imprese, dotate di adeguata organizzazione e in grado di dispiegare la necessaria tecnologia (ferrovie portatili Decauville, locomotive a vapore, teleferiche), si accorsero che quei remoti boschi di montagna potevano diventare una miniera d'oro. Nel 1910, la società italo-tedesca Rueping, nota per aver brevettato un redditizio sistema di impregnazione del legname (che faceva sì che anche il legno di faggio potesse essere impiegato per la produzione delle traversine), stipulò dei contratti con i Comuni proprietari dei boschi nella zona del Pollino e ne iniziò lo sfruttamento, con tagli su grandi superfici e asportazione di migliaia di alberi di colossali dimensioni. Più del 30% delle traverse ferroviarie venivano impregnate con il metodo Rueping che, alternando pressione e vuoto, faceva in modo che solo la parete del condotto xilematico, ma non lo spazio interno, venisse impregnato con il creosoto, il cui uso era quindi economizzato.

In molti casi queste estese utilizzazioni consistettero in forme di taglio raso o all'incirca (il cosiddetto taglio 'borbonico', che prevedeva il risparmio di sole 60 piante per ettaro) con prelievi di biomassa sicuramente superiori al tasso di accrescimento della foresta [3]. Alla Società Rueping succedettero poi altre imprese, come la ditta Palombaro, e questo tipo di sfruttamento proseguì fino al secondo dopoguerra. Fu in questo periodo che ebbe luogo la rarefazione dell'abete bianco, dell'olmo e del tiglio montano, dei grandi aceri, del frassino maggiore, del tasso, e si determinò una drastica semplificazione dei boschi, come composizione e struttura.


Allegorie

Nella saga sumera di Gilgamesh, di cui si raccontava 2000 anni prima di Cristo, il rapporto fra uomo e foresta si manifesta con delle allegorie suggestive. E’ l’eroe Gilgamesh che vuole tagliare i tronchi migliori della foresta dei cedri, sulle montagne del Libano, e portarli a Uruk per usarli come materiale da costruzione, per le case e le navi. Mentre è il mostro Khubaba che protegge la foresta per conto di Enlil, il sovrano degli dei. Alla fine prevale l’eroe, che fa un gran bottino: tutti gli alberi sacri vengono tagliati e portati a Uruk, e le montagne del Libano restano per sempre denudate. Là dove è l’eroe che distrugge il bosco, e il mostro che lo protegge, siamo di fronte a un capovolgimento di quella scala di valori che oggi vede ai primi posti la conservazione delle foreste, in contrapposizione al loro sfruttamento. Ci sono eroi e mostri ai giorni nostri?


[1] Petagna V, Terrone G, Tenore M (1827). Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore effettuato nel 1826. Tipografia Francese, Napoli. [Ristampato da Edizioni Prometeo, Castrovillari, 1992]

[2] Douglas N (1915). Old Calabria. Secker, London, UK, pp. 352. [Edizione italiana: Vecchia Calabria, Giunti editore, Firenze, 1992].

[3] Borghetti M, Moretti N (2020). Basilicata, terra di boschi e studi forestali. Forest@ 17: 1-16. 

Taglio di grandi alberi nei boschi di montagna della Basilicata. Siamo nel bosco di Francavilla sul Sinni a fine settembre del 1939; l’albero tagliato è probabilmente un faggio con legno a “cuore bagnato”. Non era un grosso difetto nel caso si facessero traversine ferroviarie, anche se l’impregnazione con il creosoto era più difficoltosa (foto da archivio Ditta Palombaro).

Grandi cantieri per il taglio dei boschi, sulle montagne della Basilicata (foto da archivio ditta Palombaro)

Deposito di traverse ferroviarie nel pizzale della stazione di Montella  (Avellino) a fine agosto del 1949 . Le grandi utilizzazioni nei boschi del meridione procedono ancora a pieno ritmo (foto da archivio Ditta Palombaro).