Sul massiccio del Pollino, fra Basilicata e Calabria, si trovano  alcuni lembi di foresta vetusta: rappresentano un prezioso modello di riferimento per la selvicoltura. Una delle faggete vetuste del Pollino (quella di Cozzo Ferriero, nella foto, v. mappa sotto) è stata dichiarata patrimonio dell'Unesco (foto di Francesco Ripullone). Scorrere per la fotostoria.

La faggeta di Cozzo Ferriero, nel Parco Nazionale del Pollino, considerata bosco vetusto (foto di Francesco Ripullone)

I boschi vetusti

Definire cosa sia un bosco vetusto non è cosa semplice. Ci limitiamo a riportare la definizione della FAO, secondo la quale una foresta vetusta è un bosco primario o secondario che abbia raggiunto un’età nella quale specie e attributi strutturali normalmente associati con foreste primarie senescenti dello stesso tipo si siano sufficientemente accumulati così da renderlo distinto come ecosistema rispetto a boschi più giovani”

Sul massiccio del Pollino, fra Basilicata e Calabria, si trovano  alcuni lembi di foresta con queste caratteristiche. Lavorando in collaborazione con dei ricercatori spagnoli, il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato che queste foreste, nonostante l’acuirsi dei fenomeni estremi legati alla crisi climatica e malgrado l'età plurisecolare degli alberi più vecchi, continuano a mostrare una crescita stabile e ad accumulare carbonio [1].

Sono quindi boschi che rappresentano un prezioso modello di riferimento per la selvicoltura e la gestione forestale sostenibile. Una delle faggete vetuste del Pollino (quella di Cozzo Ferriero) è stata dichiarata patrimonio dell'Unesco.


Biodiversità e selvicoltura

Un articolo di pochi anni fa [2] riporta i risultati di una ricerca svolta in cinque Parchi Nazionali, in ognuno dei quali sono state confrontate, in termini di ricchezza di specie e diversità strutturale, foreste (in prevalenza faggete) sottoposte a gestione (G) e foreste che da qualche decennio (60-80 anni) non erano gestite (NoG). Questo il principale risultato dello studio: la ricchezza di specie vascolari e la beta-diversità (cioè il rapporto fra la diversità valutata a scala ampia (regionale) e quella valutata a scala locale) non sono risultate diverse fra G e NoG. Quest'ultime erano comunque caratterizzate da un maggior livello di diversità strutturale e di copertura di chioma. Non sono comunque emerse evidenze che la diversità specifica sia funzione delle caratteristiche strutturali della foresta. Non c'è da aspettarsi, concludono gli autori, che la gestione colturale ad imitazione dei disturbi naturali, che favorisca la diversificazione di copertura e l'accumulo di necromassa (legno morto), sia quindi di immediato  beneficio per la biodiversità. It is a long way to the top, così recita il titolo del lavoro...


Boschi risparmiati

Sempre nel Parco Nazionale del Pollino, incamminandosi da Piano di Novacco verso la cima di Serra la Vespa, sui selvaggi e spettacolari monti dell'Orsomarso (v. mappa sotto), si incontrano tratti di faggeta con piante grandi e molto vecchie, spesso senescenti. E con notevole quantità di legno morto a terra. I grandi faggi sovrastano un piano di bosco governato, fino a qualche decennio fa,  a ceduo, (v. foto in calce).

In tutta la zona il bosco è stato utilizzato in modo intensivo: dalle popolazioni locali per ricavare legna da ardere e carbone;  a partire dall'inizio del novecento, da parte di grandi ditte boschive (come Rueping e Palombaro, di cui abbiamo parlato in un altro fotoracconto). Queste ditte gestirono per alcuni decenni grandi cantieri forestali nella zona, procedendo a tagli forti ed estesi che modificarono in modo radicale le caratteristiche di questi boschi. Molto del materiale venne utilizzato per la produzione di traversine ferroviarie.

Venne applicato in molti casi il cosiddetto 'taglio borbonico' così come previsto dalla legge di Francesco I del 1826: taglio raso con rilascio di circa 60 piante (le riserve) per ettaro. Quelle che vediamo nelle fotografie sono le vecchie riserve risparmiate dal taglio, scelte probabilmente fra le piante con le peggiori caratteristiche in rapporto agli assortimenti legnosi che si volevano ottenere. Terminate (intorno agli anni '50) queste utilizzazioni, continuò il governo a ceduo che ora, in regime di tutela (la foresta si trova nella zona A del Parco) è stato sospeso [3 ,4].


[1] Colangelo M. et al (2021). Mediterranean old-growth forests exhibit resistance to climate warming. Science of The Total Environment 801.

[2] Burrascano, S,. et al. (2018) It's a long way to the top: Plant species diversity in the transition from managed to old‐growth forests. Journal of  Vegetation Science 29: 98-109.

[3] Schettino A, De Vivo G, Mancaniello D (2013). Il cammino del legno. Un sentiero didattico sulla storia dei boschi nel Parco Nazionale del Pollino. Sherwood 191: 39-41

[4] Borghetti M., Moretti N. (2020). Basilicata, terra di boschi e studi forestali. Forest@ 17: 1-16.

Monti dell'Orsomarso, Saracena, Parco Nazionale del Pollino (v. mappa sotto). Immagini della faggeta di Serra la Vespa. In evidenza le  vecchie riserve di faggio risparmiate dai tagli massicci, continuati fino agli anni 50.  (foto di Anna Rita Rivelli, giugno 2009).

Monti dell'Orsomarso, Parco Nazionale del Pollino. Nella faggeta altimontana, vecchie ceppaie precedentemente ceduate in evoluzione post-colturale. E' la naturale evoluzione di molti cedui di faggio in vicinanza del limite superiore della faggeta sull'Appennino. La struttura della ceppaia, con un elevato numero di polloni in competizione fra loro, risente delle pregresse ceduazioni. Ancor più in alto, oltre i 2000 m, è stato osservato che la struttura clonale, con molteplici fusti stratificati verso il basso, rappresenta per il faggio una naturale strategia adattativa di rigenerazione in relazione ai fattori limitanti che agiscono in questi ambienti (foto di Anna Rita Rivelli, giugno 2009).