Vecchi castagneti da frutto, una virtuale terza via fra abbandono e recupero?
Così diffusi, per il ruolo essenziale che svolgevano, fin dai tempi antichi [1], per la sopravvivenza della gente di montagna, di vecchi castagneti da frutto ne troviamo molti sulle nostre montagne. Non solo nei tradizionali distretti castanicoli che punteggiano il nostro paese (dalla montagna cuneese, all'appennino tosco emiliano, dall'Irpinia alla Calabria) , ma un po' ovunque le condizioni di suolo e clima ne consentissero la coltivazione.
Lo spopolamento delle montagne, la naturale evoluzione della comunità vegetale autoctona alla quale il castagneto era stato sostituito dall'uomo, le avversità patologiche che il castagno ha dovuto ripetutamente subire nel corso del tempo: tutto ha concorso a trasformare il sistema agro-forestale dal ben curato aspetto in una comunità vegetale dalla caotica e veloce evoluzione, in cui l'intreccio di piante fra loro in competizione è sovrastato da castagni secolari, con la chioma tormentata dai ripetuti stroncamenti e dagli arruffati rigetti epicormici.
I metodi e le tecniche colturali da applicare per il possibile recupero dei castagneti da frutto 'abbandonati' sono ben note. Ma sono ben note anche le difficoltà gestionali di questi progetti di recupero e gli stretti limiti, ecologici ed economici, che circoscrivono la loro fattibilità: limiti insormontabili in molte circostanze [2].
L'abbandono è quindi l'unica strada da percorrere, in questi casi? Si, se per 'abbandono' si intende la rinuncia a velleitari tentativi di recupero laddove non ce ne siano le possibilità. No, se non si considera 'abbandonato' un ecosistema che viene comunque, descritto, caratterizzato nel suo dinamismo e quindi offerto (anche nelle tante ed efficaci forme che oggi la comunicazione mediale consente) al cuore e all'intelletto della gente, che ne possa rivivere la cultura e la natura; apprezzarne la residua arborea monumentalità, la biodiversità velocemente cangiante, che ne possa fare strumento di sapere e di insegnamento.
E così, scrivendone in queste poche righe, mi sembra di non 'abbandonare' il vecchio castagneto di Casalino, e i suoi contorti patriarchi.