La selvicoltura con il martello (forestale)
Può sembrar strano associare la selvicoltura (la cura del bosco) ad un martello, eppure è così. La vera selvicoltura la si fa usando il martello forestale. Che non è un semplice martello: è il segno distintivo di una professione, come lo stetoscopio per il medico, il tavolo inclinabile per l'architetto, come il regolo calcolatore lo era per il vecchio ingegnere. E' il tramite fra pensiero e azione del selvicoltore, lo strumento che cala nella realtà del bosco l'interpretazione dei processi di competizione fra gli alberi, le scelte che permettono di anticipare la mortalità per auto-diradamento, di selezionare gli alberi in rapporto alle loro caratteristiche, di creare le condizioni per la rinnovazione naturale e assecondare il dinamismo del bosco. Ha rappresentato ad un tempo professionalità ed autorità, con precise regole per la sua formazione e custodia.
Una volta di uso esclusivo dei funzionari: "I martelli del governo saranno conservati in un astuccio a due chiavi, di cui una si terrà dal funzionario superiore dell'Amministrazione civile di residenza nel comune, e l'altra dall'Ispettore forestale...Il martello non potrà estrarsi senza prima distendersene un processo verbale...", così troviamo scritto, con il linguaggio della burocrazia di allora, all'art. 44 della legge forestale del 1826 (la ben nota legge "borbonica" di Francesco I di Borbone). Molto utilizzato, a quei tempi, era il martello dell'agente della Real Marina, quando si sceglievano e tagliavano gli alberi d'alto fusto adatti alle costruzioni navali.
Nel nostro paese sarebbe buona cosa che il martello forestale fosse usato di più. Non perché ci sia il bisogno di tagliare di più i boschi, ben inteso, ma perché c'è il bisogno di tagliarli meglio, molto meglio. Passando da un tipo di uso del bosco (i tagli del ceduo) dove di scelte colturali se ne fanno poche, e il martello non lo si usa, alla selvicoltura della fustaia: a una selvicoltura basata sull'osservazione, l'analisi e la scelta, in cui la 'martellata', guidata dalle conoscenze sul funzionamento del bosco e sul suo dinamismo, è una delle azioni che più dimostrano la capacità di prenderci cura delle nostre foreste, e di valorizzarne le funzioni.
La strategia forestale nazionale (SFN), da poco pubblicata, propone la gestione forestale sostenibile come strumento per la conservazione e l'uso delle foreste, e per il progresso socio-economico dei territori che le ospitano. Leggendo la SFN una cosa pare evidente: il raggiungimento di alcuni dei suoi obbiettivi più importanti richiederà che nei nostri boschi si faccia soprattutto una selvicoltura con il martello, quindi una selvicoltura della fustaia.
In molti, troppi casi, in Italia, si è fatto, si fa, molto taglio del ceduo (circa la metà dei nostri boschi sono sottoposti a questo tipo di governo), qualche banale diradamento sul piano dominato quando i Comuni devono far cassa; recentemente, in qualche caso da non prendere ad esempio, utilizzazioni meccaniche per ottenere biomassa da immettere in un mercato dell’energia dopato dai contributi pubblici, e poco di più. Per il resto, gran parte dei nostri boschi è rimasta, negli ultimi decenni, in evoluzione naturale. E dobbiamo dire che in diverse situazioni e per molti aspetti, questo non è stato, sul piano ecologico, prescindendo dalle problematiche socio-economiche al contorno, un male.
La SFN prefigura un cambiamento, con obbiettivi/azioni ambiziose nel quadro della gestione forestale sostenibile. Qualche esempio di quello che si desidera: aumento della diversità biologica, resilienza agli eventi climatici, agli incendi e ad altre avversità, boschi climaticamente utili, prodotti per la bio-economia, protezione idrogeologica, turismo, servizi ecosistemici, rinaturalizzazione, ecc.
Tutto serenamente condivisibile (è anni che se ne parla), se è chiara una cosa. Che questi obiettivi sono raggiungibili a seconda di come i boschi sono fatti: a seconda della loro composizione specifica e struttura, di quanta biomassa c’è, di come l’accrescimento si ripartisce fra gli alberi, di com’è la forma dei fusti e di quanti nodi ci sono nel legno; a seconda della tessitura del popolamento, della rinnovazione naturale, ecc.
Condizioni che se ci sono va bene (ma bisogna conservarle), se non ci sono bisogna raggiungerle con adeguati interventi colturali, promuovendo e curando la fustaia. Se l'obbiettivo è la promozione della biodiversità in una fustaia adulta, occorrerà procedere alla manipolazione della copertura (con il taglio di piante grosse della specie dominante) e alla creazione dei vuoti di chioma e di quelle condizioni ecotonali che favoriscono l'accesso ai piani superiori della foresta delle specie confinate nel piano inferiore. Se l'obbiettivo è quello della produzione di assortimenti legnosi di qualità, occorrerà procedere all’educazione del popolamento attraverso i diradamenti alti e la gestione fine del soprassuolo accessorio. Se vogliamo diversificare una popolamento transitorio, dovremo procedere a diradamenti saltuari, e così via.
Tutte cose che implicano una selvicoltura fatta nella fustaia, usando il martello forestale, una selvicoltura della scelta e dell'intelletto, escludendo utilizzazioni frettolose e muscolari che si configurino solo come sfruttamento economico del bosco.
E laddove di fustaie ce ne sono poche, occorrerà promuoverle il più possibile, con interventi di avviamento all'alto fusto del bosco ceduo. Evitando comunque posizione rigide e manichee, tipo ceduo-SI o ceduo-NO. Una recente e interessante analisi, in cui sono stati confrontati il ceduo in esercizio (TC), in evoluzione naturale (NE) e il ceduo avviato all’alto fusto (CO), utilizzando gli indicatori della gestione forestale sostenibile, ha messo in evidenza che le prestazioni ambientali di NE e CO sono spesso superiori, ma che TC può conservare valenza socio-economica e paesaggistica in determinati contesti [1].
Post scriptum
La selvicoltura fatta con il martello è bene che sia al centro di impostazioni gestionali evolute [2], che consentano di affrontare con efficacia le questioni che riguardano i nostri ecosistemi forestali, e le sfide che la loro gestione deve considerare in un quadro ambientale e sociale variegato e in cambiamento.
Nei principi e nei metodi di queste impostazioni possiamo trovare il modo di: assecondare la natura senza ricorrere a rigidi modelli di riferimento; rispettare gli indicatori e le linee guida, ricorrenti nelle direttive europee, senza restarne intrappolati; sfuggire a schematismi legati a scelte colturali mono-obbiettivo e contrastare la visione della foresta come semplice deposito di energia da sfruttare; valorizzare la professionalità dei tecnici forestali; comporre i conflitti fra impostazioni culturali e sensibilità ambientali differenti; fronteggiare la delicata questione riguardante i rapporti fra gestione della foresta e promozione della biodiversità; comprendere che gestione responsabile significa sì dare delle risposte ai bisogni della società, ma talvolta anche accettare la strada dell’attesa.
[1] Cutini A. et al. (2021). Testing an expanded set of sustainable forest management indicators in Mediterranean coppice area. Ecological Indicators 130.
[2] Nocentini S. et al. (2020). Historical roots and the evolving science of forest management under a systemic perspective. Canadian Journal of Forest Research. 51(2): 163-171. Si tratta di un interessante contributo da parte della scuola di Orazio Ciancio. E' la proposta di una gestione forestale fondata su una selvicoltura di sistema ed adattativa per le foreste dell'antropocene: coltivare dubbi, affrontare incertezze e procedere con l'algoritmo adattativo (obbiettivo, azioni, controllo degli effetti, modifica delle azioni in base a nuove informazioni e cambiamenti del contesto) sulla base dello stato dell'arte dell'ecologia funzionale, della biologia del cambiamento globale, del contorno socio-ambientale.