Disfatte e rifatte. I boschi italiani conobbero tempi duri nei primi decenni post-unitari. All'inizio del novecento molti versanti erano in condizioni disastrose e ci si rese conto della necessità di invertire la rotta di uno sfrenato sfruttamento. Nell'immagine le opere di  sistemazione di un versante del bacino montano del torrente Agno, ramo Rotolon, Recoaro (Vicenza), fatta nei primi decenni del novecento. Pendice sistemata con gradoni e graticciate. Le graticciate furono disposte a distanza di circa due m con un'altezza fuori terra di 0.5 m circa. Vennero usate zolle erbose per rinsaldare il piede e il ciglio del gradone e si furono fatte semine per l'inerbimento (foto da archivio di Marco Borghetti). Scorrere per la fotostoria.

Foreste 'disfatte'

Sfruttati per lunghi secoli, i boschi della nostra penisola conobbero tempi duri anche nei decenni successivi all'unità d'Italia. Certamente non li aiutò la promulgazione, durante il governo di Agostino Depretis, della prima legge forestale unitaria, quella del 20 giugno 1877, promossa dall'allora ministro per l'Agricoltura, Salvatore Maiorana Calatabiano. Si trattò di una legge che fece molto rumore nel mondo forestale, tanto che l'allora Direttore del Regio Istituto Forestale di Vallombrosa (istituito pochi anni prima, nel 1869), Alfonso di Bérenger, fu collocato anticipatamente a riposo per aver espresso la sua contrarietà. Ma anche Ludovico Piccioli, che dal 1915 al 1937 sarà professore di Selvicoltura e Tecnologia del legno presso la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Firenze, paragonandola alla legge borbonica del 1826 così si esprime: 'la provvida legge del 1826, più savia e ponderata e di molti cubiti superiore a quella del 20 giugno del 1877...'. [1]. 

Perché questa la legge ebbe effetti negativi? Presto detto. Come recita il suo primo articolo, essa sottoponeva al vincolo forestale 'i boschi e le terre spogliate di piante legnose sulle cime e pendici dei monti fino al limite superiore della zona del castagno'. Il medesimo vincolo si sarebbe dovuto applicare ai boschi e alle terre a rischio di disboscamento e di dissesto idrogeologico, ma il provvedimento sanciva anche il principio dell'indipendenza delle province in materia forestale, dando ai Consigli provinciali il diritto di regolamentare in materia di 'prescrizioni per la coltura e il taglio dei boschi vincolati'. Da qui ebbe origine una forte discrezionalità e molta variabilità nell'applicazione della legge.

Nella realtà la legge non impedì, anzi in molti casi liberalizzò, il dissodamento dei versanti e l'uso del suolo per le colture agrarie. D'altra parte il limite del castagno non era stato scelto a caso: al di sopra di questo limite la coltura agraria o non la si poteva fare oppure non era economicamente redditizia. In tal senso la legge era bene in linea con l'impostazione economica di Maiorana, seguace del pensiero di Adam Smith e convinto sostenitore che per l'Italia di allora fosse necessario un indirizzo di libero mercato. Per alcuni aspetti poteva avere ragione, per i boschi non tanto.

Al fine di comprendere meglio come mai si concretizzò una situazione di reale rischio per i boschi italiani, va considerato un altro fatto importante. Qualche anno prima, fra il 1866 e il 1867, erano stati emanati i provvedimenti di soppressione degli ordini religiosi e di confisca dei loro beni (compreso l'immenso patrimonio fondiario). Questi furono incamerati nel demanio e poi in buona parte venduti ai Comuni e ai privati. La concomitanza di questi provvedimenti aprì la strada a vasti disboscamenti, soprattutto nel meridione. De Dominicis [2] stima che a livello italiano la distruzione dei boschi fu del 45% e testualmente scrive “i boschi con il nuovo regno trapassavano ai privati e ai comuni che dei privati dovevano essere peggiori amministratori per evitare il jugulamento dei loro bilanci”. Vanamente l’ex primo ministro Luigi Menabrea aveva raccomandato, soprattutto per l’Italia meridionale, l’esclusione dei boschi dalla vendita dei beni confiscati agli ordini religiosi.


Foreste 'rifatte'

Verso la fine dell'800 in molte province ci si rese conto della grave situazione dei versanti montani e della loro instabilità idrogeologica che causava frequenti e pericolose alluvioni. I comitati forestali provinciali (istituiti dalla legge del 1877) iniziarono ad attivarsi e a progettare opere di sistemazione dei bacini montani. Questa nuova consapevolezza portò a varie iniziative legislative: all'inizio del novecento furono emanate delle leggi speciali per le regioni più disastrate. Importante fu la legge 277 del 2 giugno 1910, che istituiva il demanio forestale dello stato, seguita dalla legge 442 nel marzo del 1912, che venne a costituire un testo unico in materia di sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani. Queste leggi  furono approvate durante il governo presieduto da Luigi Luzzatti, da cui prendono il nome. La legge del marzo 1912 trovò adeguata applicazione, soprattutto relativamente al suo Titolo I, ovvero la sistemazione dei bacini montani che venne eseguita con appositi fondi stanziati dal Ministero dei lavori pubblici.

Nel fondo archivistico dell'Università di Firenze è disponibile, al titolo 'Corpo Reale Forestale', una raccolta di fotografie storiche che documentano numerose opere di sistemazione idraulica e ricostituzione boschiva effettuate nei primi decenni del novecento.


[1] Piccioli L. (1909) Leggi e regolamenti forestali. UTET, Torino.

[2] De Dominicis F (1912). Il disboscamento nel mezzogiorno d’Italia. Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie 59 (236): 433-45.


Disfatte. Valle di Revolto (provincia di Verona): la situazione di un versante a inizio del novecento (foto da archivio di Marco Borghetti).

Rifatte. Valle di Revolto (provincia di Verona): la situazione del versante come si presenta oggi dopo il rimboschimento effettuato nel primo decennio del novecento (foto: Marco Borghetti, ottobre 2006).