"e quei castagni! Non credevi mai, Violetta? Lo credo! Ero il più grande! Sono il più vecchio..."(Giovanni Pascoli, Primi poemetti: Il vecchio castagno). Nella foto il suggestivo  castagneto 'abbandonato' che si trova sopra Casalino di Ligonchio (Reggio Emilia) (foto di Marco Borghetti, giugno 2022). Scorrere per il fotoracconto.

Vecchi castagneti da frutto, una virtuale terza via fra abbandono e recupero?

Così diffusi, per il ruolo essenziale che svolgevano, fin dai tempi antichi [1], per la sopravvivenza della gente di montagna, di vecchi castagneti da frutto ne troviamo molti sulle nostre montagne.  Non solo nei tradizionali distretti castanicoli che punteggiano il nostro paese (dalla montagna cuneese, all'appennino tosco emiliano, dall'Irpinia alla Calabria) ,  ma un po' ovunque le condizioni di suolo e clima ne consentissero la coltivazione.

Lo spopolamento delle montagne, la naturale evoluzione della comunità vegetale autoctona alla quale il castagneto era stato  sostituito dall'uomo, le avversità patologiche che il castagno ha dovuto ripetutamente  subire nel corso del tempo: tutto ha concorso a trasformare il sistema agro-forestale dal ben curato aspetto in una  comunità vegetale dalla caotica e veloce evoluzione, in cui l'intreccio di  piante fra loro in competizione è sovrastato da castagni secolari, con la chioma tormentata dai ripetuti stroncamenti e dagli arruffati rigetti epicormici.

I metodi e le tecniche colturali da applicare per il possibile recupero dei castagneti da frutto 'abbandonati' sono ben note. Ma sono ben note anche le difficoltà gestionali di questi progetti di recupero e gli stretti limiti, ecologici ed economici, che circoscrivono la loro fattibilità: limiti insormontabili in molte circostanze [2].

L'abbandono è quindi l'unica strada da percorrere, in questi casi?  Si, se per 'abbandono' si intende  la rinuncia a velleitari tentativi di recupero laddove non ce ne siano le possibilità. No, se non si considera 'abbandonato' un ecosistema che viene comunque, descritto, caratterizzato nel suo dinamismo e quindi offerto (anche nelle tante ed efficaci forme che oggi la comunicazione mediale consente) al cuore e all'intelletto della  gente, che ne possa rivivere la cultura e la natura; apprezzarne la residua arborea monumentalità, la biodiversità velocemente cangiante, che ne possa fare strumento di sapere e di insegnamento. 

E così, scrivendone in queste poche righe, mi sembra di non 'abbandonare' il vecchio castagneto di Casalino, e i suoi contorti patriarchi.

Castagni monumentali, alberi morti, necromassa, sottobosco in caotica evoluzione nel vecchio castagneto di Casalino (foto di Marco Borghetti).

In questo caso, poco sopra l'abitato di Bosco di Corniglio, in provincia di Parma, si sono invece realizzate le condizioni per recuperare e mantenere il castagneto da frutto. Più o meno queste: il bosco non svolgeva una critica azione di protezione del versante; non era in atto una decisa evoluzione verso la comunità forestale dominante della zona  (querceto montano in transizione verso la faggeta); il cancro corticale appariva inattivo o comunque molto indebolito; il frutto è di una cultivar apprezzata sul mercato locale; la giacitura del suolo è favorevole all'esecuzione delle cure colturali; era presente un'aliquota sufficiente (> 30 per ettaro) di piante potenzialmente recuperabili; le necessarie operazioni colturali sono state fatte nel quadro di un progetto colturale dal respiro pluriennale [2]  (foto di Marco Borghetti).

[1] Conedera et al.  (2004). The cultivation of Castanea sativa (Mill.) in Europe, from its origin to its diffusion on a continental scale. Veget Hist Archaeobot 13: 161–179.

[2] Mariotti B. et al. (2019). Linee guida per la gestione selvicolturale dei castagneti da frutto”. Rete Rurale Nazionale 2014-2020, Scheda n. 22.2- Foreste, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Roma, ISBN 978-88-3385- 017-7.