Ci troviamo in una una pecceta altimontana, in provincia di Trento. La gestione del bosco prevede l'abbattimento di alcuni alberi per ottenere assortimenti legnosi e, nello stesso tempo, per creare lo spazio dove possa insediarsi la rinnovazione. Per fare la scelte giuste bisogna avere conoscenza dello stato del bosco, delle sue dinamiche e di come queste saranno influenzate dall'intervento colturale. Individuate le piante da abbattere, queste vengono rese riconoscibili da una specchiatura sul tronco (asportazione di una porzione di corteccia, come si vede nell'immagine). In basso, spesso sui contrafforti radicali, comunque al di sotto del piano di abbattimento, su di un'altra specchiatura viene impresso il sigillo del martello forestale che rimane quindi visibile anche dopo che la pianta è stata rimossa, in modo da dimostrare che il taglio di quell'albero era stato autorizzato (foto di Marco Borghetti). Scorrere per la fotostoria.

Pagina del Regio Decreto 21 giugno 1864, in cui vengono definite forma e caratteristiche del martello forestale (foto da archivio di Marco Borghetti).

Il martello di un dottore forestale della Regione Basilicata (foto di Agostino Ferrara, aprile 2022).

La selvicoltura con il martello (forestale)

Può sembrar strano associare la selvicoltura (la cura del bosco) ad un martello, eppure è così. La vera selvicoltura la si fa usando il martello forestale. Che non è un semplice martello:  è il segno distintivo di una professione, come lo stetoscopio per il medico, il tavolo inclinabile per l'architetto, come il regolo calcolatore lo era per il vecchio ingegnere. E' il tramite fra pensiero e azione del selvicoltore, lo strumento che cala nella realtà del bosco l'interpretazione dei processi di competizione fra gli alberi, le scelte che permettono di anticipare la mortalità per auto-diradamento, di selezionare gli alberi in rapporto alle loro caratteristiche, di creare le condizioni per la rinnovazione naturale e assecondare il dinamismo del bosco. Ha rappresentato ad un tempo professionalità ed autorità, con precise regole per la sua formazione e custodia.

Una volta di uso esclusivo dei funzionari:  "I martelli del governo saranno conservati in un astuccio a due chiavi, di cui una si terrà dal funzionario superiore dell'Amministrazione civile di residenza nel comune, e l'altra dall'Ispettore forestale...Il martello non potrà estrarsi senza prima distendersene un processo verbale...", così troviamo scritto, con il linguaggio della burocrazia di allora, all'art. 44 della legge forestale del 1826 (la ben nota legge "borbonica" di Francesco I di Borbone).  Molto utilizzato, a quei tempi, era il martello dell'agente della Real Marina, quando si sceglievano e tagliavano gli alberi d'alto fusto adatti alle costruzioni navali.

Nel nostro paese sarebbe buona cosa che il martello forestale fosse usato di più. Non perché ci sia il bisogno di tagliare di più i boschi, ben inteso, ma perché c'è il bisogno di tagliarli meglio, molto meglio. Passando da un tipo di uso del bosco (i tagli del ceduo) dove di scelte colturali se ne fanno poche, e il martello non lo si usa, alla selvicoltura della fustaia: a una selvicoltura basata sull'osservazione, l'analisi e la scelta, in cui  la 'martellata', guidata dalle conoscenze sul funzionamento del bosco e sul suo dinamismo, è una delle azioni che più dimostrano la capacità di prenderci cura delle nostre foreste, e di valorizzarne le funzioni. 

La strategia forestale nazionale (SFN), da poco pubblicata, propone la gestione forestale sostenibile come strumento per la conservazione e l'uso delle foreste,  e per il progresso socio-economico dei territori che le ospitano. Leggendo la SFN una cosa pare evidente: il raggiungimento di alcuni dei suoi obbiettivi più importanti richiederà che nei nostri boschi si faccia soprattutto una selvicoltura con il martello, quindi una selvicoltura della fustaia

 In molti, troppi casi, in Italia, si è fatto, si fa, molto taglio del ceduo (circa la metà dei nostri boschi sono sottoposti a questo tipo di governo), qualche banale diradamento sul piano dominato quando i Comuni devono far cassa; recentemente, in qualche caso da non prendere ad esempio, utilizzazioni meccaniche per ottenere biomassa da immettere in un mercato dell’energia dopato dai contributi pubblici, e poco di più. Per il resto, gran parte dei nostri boschi è rimasta, negli ultimi decenni, in evoluzione naturale. E dobbiamo dire che in diverse situazioni e per molti aspetti, questo non è stato, sul piano ecologico, prescindendo dalle problematiche socio-economiche al contorno, un male.

La SFN prefigura un cambiamento, con obbiettivi/azioni ambiziose nel quadro della gestione forestale sostenibile. Qualche esempio di quello che si desidera: aumento della diversità biologica, resilienza agli eventi climatici, agli incendi e ad altre avversità, boschi climaticamente utili, prodotti per la bio-economia, protezione idrogeologica, turismo, servizi ecosistemici, rinaturalizzazione, ecc.

Tutto serenamente condivisibile (è anni che se ne parla), se è chiara una cosa. Che questi obiettivi sono raggiungibili a seconda di come i boschi sono fatti: a seconda della loro composizione specifica e struttura, di quanta biomassa c’è, di come l’accrescimento si ripartisce fra gli alberi, di com’è la forma dei fusti e di quanti nodi ci sono nel legno; a seconda della tessitura del popolamento, della rinnovazione naturale, ecc.

Condizioni che se ci sono va bene (ma bisogna conservarle), se non ci sono bisogna raggiungerle con adeguati interventi colturali, promuovendo e curando la fustaia. Se l'obbiettivo è la promozione della biodiversità in una fustaia adulta, occorrerà procedere alla manipolazione della copertura (con il taglio di piante grosse della specie dominante) e alla creazione dei vuoti di chioma e di quelle condizioni ecotonali che favoriscono l'accesso ai piani superiori della foresta delle specie confinate nel piano inferiore. Se l'obbiettivo è quello della produzione di assortimenti legnosi di qualità, occorrerà procedere all’educazione del popolamento attraverso i diradamenti alti e la gestione fine del soprassuolo accessorio. Se vogliamo diversificare una popolamento transitorio, dovremo procedere a diradamenti saltuari, e così via.

Tutte cose che implicano una selvicoltura fatta nella fustaia, usando il martello forestale, una selvicoltura della scelta e dell'intelletto, escludendo utilizzazioni frettolose e muscolari che si configurino solo come sfruttamento economico del bosco.

E laddove di fustaie ce ne sono poche, occorrerà promuoverle il più possibile, con interventi di avviamento all'alto fusto del bosco ceduo. Evitando comunque posizione rigide e manichee, tipo ceduo-SI o ceduo-NO. Una recente e interessante analisi, in cui sono stati confrontati il ceduo in esercizio (TC), in evoluzione naturale (NE) e il ceduo avviato all’alto fusto (CO), utilizzando gli indicatori della gestione forestale sostenibile, ha messo in evidenza che le prestazioni ambientali di NE e CO sono spesso superiori, ma che TC può conservare valenza socio-economica e paesaggistica in determinati contesti [1].


Post scriptum

La selvicoltura fatta con il martello è bene che sia al centro di impostazioni gestionali evolute [2], che consentano di affrontare con efficacia le questioni che riguardano i nostri ecosistemi forestali, e le sfide che la loro gestione deve considerare in un quadro ambientale e sociale variegato e in cambiamento.

Nei principi e nei metodi di queste impostazioni possiamo trovare il modo di: assecondare la natura senza ricorrere a rigidi modelli di riferimento; rispettare gli indicatori e le linee guida, ricorrenti nelle direttive europee, senza restarne intrappolati; sfuggire a schematismi legati a scelte colturali mono-obbiettivo e contrastare la visione della foresta come semplice deposito di energia da sfruttare; valorizzare la professionalità dei tecnici forestali; comporre i conflitti fra impostazioni culturali e sensibilità ambientali differenti; fronteggiare la delicata questione riguardante i rapporti fra gestione della foresta e promozione della biodiversità; comprendere che gestione responsabile significa sì dare delle risposte ai bisogni della società, ma talvolta anche accettare la strada dell’attesa.


[1] Cutini A. et al. (2021). Testing an expanded set of sustainable forest management indicators in Mediterranean coppice area. Ecological Indicators 130.

[2] Nocentini S. et al. (2020). Historical roots and the evolving science of forest management under a systemic perspective. Canadian Journal of Forest Research. 51(2): 163-171. Si tratta di un interessante contributo da parte della scuola di Orazio Ciancio. E' la proposta di una gestione forestale fondata su una selvicoltura di sistema ed adattativa per le foreste dell'antropocene: coltivare dubbi, affrontare incertezze e procedere con l'algoritmo adattativo (obbiettivo, azioni, controllo degli effetti, modifica delle azioni in base a nuove informazioni e cambiamenti del contesto) sulla base dello stato dell'arte dell'ecologia funzionale, della biologia del cambiamento globale, del contorno socio-ambientale.

Il segno del martello forestale alla base di una pianta di larice scelta per l'abbattimento (foto di Marco Borghetti). 

Nel nostro paese sarebbe buona cosa che il martello forestale fosse usato di più. Non perché ci sia il bisogno di tagliare di più i boschi,  ma perché c'è il bisogno di tagliarli meglio. Passando da un tipo di uso del bosco (i tagli del ceduo) dove di scelte colturali se ne fanno poche, e il martello non lo si usa, alla selvicoltura della fustaia: a una selvicoltura basata sull'osservazione, l'analisi e la scelta, in cui  la 'martellata', guidata dalle conoscenze sul funzionamento del bosco e sul suo dinamismo è una delle azioni che più dimostrano la capacità di prenderci cura delle nostre foreste, e di valorizzarne le funzioni 

Particelle di faggeta tagliate a  ceduo, ben visibili dalla vetta del Monte Succiso (2017 m), Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano (foto di Marco Borghetti, 18 giugno 2021).

Il ceduo di faggio, all'interno della proprietà pubblica e ancor più se in una zona sottoposta a tutela, dovrebbe essere avviato all'alto fusto (v. immagine sotto). E' una prospettiva già presente nei documenti di indirizzo forestale di cent'anni fa. Fatte salve le esigenze di legna da ardere dei residenti, dovrebbero essere escluse le ceduazioni che mirino a produrre legno da energia in una prospettiva d'impiego che vada oltre la filiera corta locale. In nome del principio dell'uso a cascata del legno, che informa sia la strategia forestale nazionale sia quella europea, le utilizzazioni finalizzate all'esclusivo ottenimento di biomassa da energia non sono accettabili. A questo scopo andrebbe destinato unicamente il legno derivante da interventi colturali (tagli intercalari) o da scarti di lavorazione della filiera. 

Nella sotto Azione B.3.3  'Qualificare la filiera foresta–legno-energia a scala locale'  la SFN riconosce che 'l’utilizzo delle biomasse legnose a fini energetici è un tema di estrema attualità tecnica e scientifica, e sensibilità sociale' e che 'acquista per il contesto nazionale una particolare importanza in particolare per i contesti socioeconomici delle aree interne e montane'. In modo condivisibile sostiene 'lo sviluppo e la qualificazione di filiere energetiche locali (...), dimensionate sulla base delle reali capacità di approvvigionamento di biomasse legnose del territorio e delle necessità energetiche locali, promuovendo il principio dell’utilizzo “a cascata” delle biomasse forestali'.

Fatte queste premesse, leggiamo però che fra le biomasse legnose da privilegiare a tal fine vengono inclusi 'gli assortimenti direttamente provenienti da utilizzazioni forestali non convenientemente destinabili ad impieghi a maggior valore aggiunto'. Poiché ben si sa che tutto ciò che si ottiene dal taglio del ceduo non è destinabile, allo stato delle cose, a impiego di maggior valore aggiunto che non sia quello della legna da ardere, questa Azione della SFN si traduce in una accettazione tout court del governo a ceduo e dell'uso dei prodotti delle ceduazioni come biomassa da energia. Viene sì genericamente ribadito il requisito della filiera corta (senza troppe precisazioni) ma poi succede che le Regioni, cui spetta la competenza in materia forestale, lo aboliscono: come recentemente ha fatto,  con un criticabile provvedimento, la Regione Basilicata.


PS: oggi, primavera 2022, nel pieno della crisi geopolitica determinata dalla criminale aggressione all'Ucraina, di fronte alla prospettiva di dover ricorrere nuovamente alla centrali a carbone, l'uso della legna come fonte di energia potrebbe riprendere slancio?  C'è il pericolo che le politiche e le strategie di uso sostenibile delle risorse forestali diventino improvvisamente un 'lusso' insostenibile?

Popolamento transitorio di faggio, con fusti di buon portamento e vigore, derivante da taglio di avviamento ad alto fusto eseguito una trentina di anni fa e seguito da interventi di diradamento. Dalla curvatura basale si riconosce ancora l'origine da polloni dei fusti. Faggeta di Lagdei, Appennino parmense, circa 1400 m di quota (foto di Marco Borghetti, fine febbraio 2022). 

La faggeta intorno al lago Santo parmense, circa 1500 m di quota. Anche in questo caso si tratta di un popolamento transitorio, derivante da taglio di avviamento all'alto fusto (foto di Marco Borghetti, fine febbraio 2022).

Ceppaie multicormiche (con molti fusti) di faggio in libera evoluzione al limite della foresta, Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano, Alta Val Parma. Un tempo la 'fame' di legno da parte della popolazione portava a ceduare dappertutto, anche nei posti più scomodi e remoti. Oggi si tratta di  formazioni post-colturali per le quali i piani gestione prevedono la libera evoluzione  (foto di Marco Borghetti).

Ceduo ampiamente 'fuori turno' sull'Appennino reggiano (Casalino di Ligonchio). Soprattutto se di proprietà pubblica, questi boschi andrebbero lasciati in evoluzione naturale, oppure convertiti all'alto fusto in caso di convenienza economica a procedere in tal senso (foto di Marco Borghetti, giugno 2022).